7.5
- Band: ACHERONTAS , ΑΧΕΡΟΝΤΑΣ
- Durata: 00:42:26
- Disponibile dal: 14/03/2022
- Etichetta:
- Zazen Sounds
Spotify:
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Trovare parole nuove per descrivere un disco degli Acherontas (o Αχεροντας, come da nomenclatura adottata lo scorso anno) sta iniziando a diventare un’operazione complicata. La band greca, da sempre riflesso della ricerca musicale-spirituale del leader Nikolaos Panagopoulos, è ormai una presenza fissa su queste pagine e all’interno della scena black metal contemporanea, tanto da aver raggiunto con “Malocchio – The Seven Tongues of ΔΑΗΜΩΝ” – opera rilasciata in maniera del tutto indipendente tramite la Zazen Sounds dello stesso cantante/chitarrista – quota nove full-length dal 2007 ad oggi (ai quali bisognerebbe poi affiancare una lunghissima serie di uscite secondarie fra collaborazioni, EP, live album e split). Una frenesia creativa che, adornata di fregi ambient, psych-rock o di puro e semplice heavy metal maideniano, continua comunque a non scadere nell’approssimazione di altre realtà inclini alla saturazione del mercato, sebbene l’effetto sorpresa della proposta sia inevitabilmente scemato col tempo.
Una premessa necessaria, dal momento che sì, preso atto di qualche variazione nel dosaggio degli ingredienti, “Malocchio…” è il ‘solito’ album del progetto ateniese, allineato in tutto e per tutto alla passata discografia del quartetto (produzione di George Emmanuel inclusa). E sì: la sua qualità media continua a giustificare il nostro interesse e il voto che vedete riportato in calce, risultando anzi più elevata rispetto a quella del precedente “Psychic Death – The Shattering of Perceptions”, il quale – col senno di poi – potrebbe essere visto come un lavoro leggermente ‘di maniera’.
Quasi a sottolineare la visceralità del cambio di monicker in lingua madre, le trame dei sette capitoli della tracklist spiccano subito all’ascolto per un misticismo e un trasporto tangibili, frammentandosi in una cabala di soluzioni da cui emergono sia un rinnovato gusto per l’aggressione, con un uso più frequente di blast-beat e riff diretti, sia un ermetismo intrinseco che non rende mai del tutto chiaro e decifrabile il discorso pronunciato, dando l’impressione che – anche nei momenti più melodici e passionali – qualcosa rimanga imperscrutabile sullo sfondo. In questo gli Αχεροντας si confermano dei piccoli campioni, riuscendo a coniugare un approccio evidentemente cerebrale e complesso – lo stesso di realtà come Akhlys, Gevurah e Mephorash – con una compattezza e un focus in sede di scrittura non poi così scontati in certo black metal degli anni Duemila, per un mix puntualmente intrigante fra atmosfere da rito arcano e violenza catartica.
Episodi come “Lucifer – Breath of Fire”, “Belial – The Enn of Beliya’al” e “Hecate – Queen of the Crossroads”, con il loro incedere tumultuoso e stratificato, la varietà delle linee vocali e il senso di sospensione dalla realtà evocato dai fraseggi chitarristici che ne costituiscono l’ossatura, vanno immediatamente a segno, e anche il resto del disco, fra parentesi ottenebranti e qualche dissonanza (“Choronzon – Webs of Alienation”, “ΔΡΑΚΩΝ – ΑPOTHEOSIS”), non si allontana troppo da simili picchi. Forse il meglio è stato già dato qualche tempo fa con “Faustian Ethos”, ma – al netto di questo – ci risulta difficile sconsigliare l’esperienza immersiva garantita da questi sinistri officianti del Mediterraneo.