8.0
- Band: 1349
- Durata: 00:38:09
- Disponibile dal: 29/09/2014
- Etichetta:
- Indie Recordings
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AVVERTENZE: questo potrebbe essere l’album black metal dell’anno. A 4 anni di distanza dall’ottimo “Demonoir” tornano a farsi sentire i 1349, fieri portabandiera del Black Metal nella versione più efferata, quella che punta tutto sull’impatto. Ai 1349 bastano 40 minuti per condensare in 8 brani la solita violenza musicale capace anche di creare atmosfere senza l’ausilio di tastiere o soluzioni particolari. Qui si parla la lingua del Black Metal vecchio stile, perfettamente “rimodernato” per suonare attuale pur conservando il giusto mix di suono old school. E non si tratta certo di soluzioni per captare l’attenzione dei nostalgici del genere, quelli che si avviano oggi verso i quarant’anni e che hanno quindi seguito passo dopo passo l’esplosione del genere. Ad ogni modo anche questo nuovo capitolo della discografia dei 1349 non deluderà nessuno. Fin dall’opener “Cauldron” infatti si sigla il patto fra l’artista e l’ascoltatore: sarà un album a tutta velocità con chitarre che stridono e urla filtrate trasudanti rabbia e odio fino all’ultimo secondo del disco. Il drumming di Frost non necessita certo di presentazione; è rabbioso, iperveloce, naturale, umano nel suono ma inumano nei ritmi. Quando il ritmo rallenta il batterista sa essere vorticoso, producendosi in un lavoro di doppia cassa così avvolgente che vi risulterà più opprimente del blast. Il cantante, Ravn, non tradisce neanche per un istante il tono filtrato particolarmente efferato mentre Archaon alla chitarra è praticamente perfetto nelle sue lunghe plettrate, spesso viatico di improvvise accelerazioni. Si prenda ad esempio “Exorcism”, terza traccia della scaletta. Riff lunghi a supportare il lamento di Ravn, con una batteria ridondante prima del break. Poi stacco e ripartenza a tutta velocità. È uno degli schemi che i 1349 eseguono perfettamente, supportati da un Frost capace di tenere il ritmo anche per diversi minuti. Le influenze thrash metal dei quattro si fanno sentire su brani come “Golem” e “Postmortem”, assolutamente old-school e particolarmente fascinosi. Ma è con “Mengele’s” che i Milletrecentoquarantanove raggiungono il top. Un riffing freddo, veloce e impazzito si sposa a un drumming selvaggio per un brano che riesce a creare atmosfera solo con la chitarra, arrivando ad impreziosire il brano – grande novità – con un solo molto ragionato, perfettamente adagiato sul tappeto ritmico. Chiude l’album “Godslayer”, altra composizione tritaossa, con un’alternanza di riff freddi e blast-beat assolutamente travolgente. Se avete letto fin qui vi sarà presa quantomeno una curiosità per l’ascolto di uno dei lavori più violenti del 2014 in ambito metal. In un periodo in cui c’è la corsa a chi sperimenta o contamina di più la propria idea di musica, alla continua ricerca di un’originalità che consenta di emergere fra le migliaia di pubblicazioni che escono ogni anno, ecco che i Thirteen Fourtynine arrivano a donarci la solita certezza con un altro album imperdibile per il genere.