6.0
- Band: 1349
- Durata: 00:38:42
- Disponibile dal: 04/10/2024
- Etichetta:
- Season Of Mist
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In merito ai 1349 vale il detto “o li ami o li odi”: intorno ai norvegesi la polarizzazione delle opinioni è infatti sempre molto forte, soprattutto in termini di pubblico, e non dubitiamo che anche questo “The Wolf & The King” darà vita a pareri piuttosto contrastanti.
Partiamo dai fatti: nati ad Oslo alla fine degli anni ‘90 (quindi nella fase calante di quel fenomeno grandioso che è stato il black metal norvegese), i cinque attendono l’alba del nuovo millennio per uscire con l’EP omonimo, seguito nel 2003 dal debutto “Liberation”, l’album che vede l’ingresso di un batterista stellato quale è Frost.
Il clamore e l’interesse suscitati dalla presenza in formazione di Kjetil-Vidar ‘Frost’ Haraldstad sono grandi, anche perché in quei primi anni 2000 i Satyricon – la sua band principale – avevano preso una strada che ha deluso molti fan, semplificando e rallentando parecchio la propria proposta.
I 1349 – al contrario – consegnano al mondo dischi veloci, estremamente aggressivi e sugli scudi, nei quali il batterista ha ampiamente modo di dimostrare la propria enorme capacità tecnica e al contempo una sempiterna devozione verso la nera fiamma: “Beyond The Apocalypse” e soprattutto il successivo “Hellfire” – l’album della consacrazione – sono a loro modo dei piccoli classici, nati in un momento nel quale il black metal tradizionale (inteso come quello dei ‘big’ della seconda ondata scandinava) era piuttosto in crisi e cercava di riorganizzarsi con risultati non sempre particolarmente memorabili.
Guardando alla successiva carriera dei musicisti di Oslo, facciamo onestamente fatica a spiegare l’enorme successo di pubblico che la creatura di Ravn e Seidemann continuano a mietere tra i metallari di tutto il globo, ma quest’ultimo è un dato di fatto e merita senza dubbio una riflessione: evidentemente i norvegesi hanno saputo capitalizzare molto bene i frutti delle loro prime release, rispetto alle quali il gruppo, esaurito l’effetto urto della novità, ha lentamente deciso di spostarsi verso lidi un po’ più melodici e variegati, senza per questo cedere qualsivoglia velleità sperimentale.
Ed eccoci arrivati a questo ottavo capitolo da studio, che fa seguito al fortunato “The Infernal Pathway”, uscito ormai cinque anni fa.
La formula è molto simile, e prevede quindi un impianto black metal a cavallo tra sonorità fine anni ‘90/inizio 2000 e una concezione più moderna (e, ahinoi, plasticosa) à la Behemoth o Dimmu Borgir, con alcune derive dal sapore heavy/thrash: funziona bene in tal senso “Ash Of Ages”, o quantomeno meglio di singoli piuttosto scialbi e ripetitivi quali “The God Devourer” e il massacrante “Inferior Pathways”.
Il complesso di Oslo sembra infatti alla ricerca del ritornello a tutti i costi, con l’intento di fare facilmente presa nell’ascoltatore (si veda anche “Shadow Point”, il cui titolo è nuovamente ripetuto fino allo sfinimento). Si dimostra almeno un briciolo più varia la conclusiva “Fatalist”, che alterna momenti più cadenzati e stentorei – una nota di merito a Ravn per la versatilità canora – ad altri che mettono in risalto l’immancabile caos sonoro che è da sempre marchio di fabbrica dell’ensemble.
Evidentemente Seidemann e soci hanno in mente le esibizioni dal vivo, e puntano sull’orecchiabilità per far passare in secondo piano un’evidente mancanza di idee ed ispirazione: “The Wolf & The King” è infatti la versione semplificata del suo predecessore nonché sicuramente un mezzo passo indietro, un lavoro che appare stanco e convenzionale in tutto e per tutto.
Detto questo, ci sono i temi pseudo-occulti dei testi, i trick di batteria di Frost, c’è l’usuale cacofonia sonora, e gli immancabili face-painting e le fiaccole accese, e per molti fan irriducibili della band questo è più che sufficiente a farne un disco black metal convincente. Tutti gli altri crediamo concorderanno sul fatto che si tratta di un lavoro discreto e niente più.