8.5
- Band: 1914
- Durata: 01:03:27
- Disponibile dal: 22/10/2021
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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Implacabili come i più spietati venti di guerra, i 1914 tornano nel crepuscolo di questo anno con un album che è una sferzata potente e nerissima in piena faccia.
Nell’immaginario comune degli appassionati di musica, il terzo disco di una band è sempre un momento cruciale, specie se la suddetta formazione arriva da un lavoro particolarmente ispirato, come è stato “The Blind Leading The Blind” per gli ucraini. Eppure, fin dalle note di “FN .380 ACP#19074” (ed il suo splendido riff), appare chiaro come qualsiasi timore risulti infondato: il blackened death sporcato di ruvido doom suonato dai 1914 in questo nuovo lavoro è insieme solido e freschissimo, carico di energia e suggestioni in grado di affermare, più di mille parole, il loro stato di grazia.
Attraversando a suon di riff velenosi e ritmi marziali gli scenari trasudanti d’orrore della Prima Guerra Mondiale, la band ci conduce attraverso il fumo acre delle trincee per mostrarci un’umanità lorda di sangue e fango ghiacciato, capace di massacrarsi ed agonizzare in un’insensata spirale di morte; la stessa che accompagna i suggestivi artwork dei Nostri, qui ritratta, in una posa quasi misericordiosa, nell’atto di chinarsi su un soldato agonizzante. Eppure non c’è scampo: che si passi dal ricordo di figure particolari come nella turbolenta “Vimy Ridge (In Memory Of Filip Konowal)” ed i suoi martellamenti cadenzati, o ci si soffermi su carneficine aggrappate a pochi metri di terra (dipinte a pennellate fosche in “Pillars Of Fire (The Battle of Messines)”), ciascuna nota suonata a velocità forsennata, ciascun rallentamento pachidermico o riff circolare di scuola Bolt Thrower/Asphyx grondano violenza e devastazione. A differenza di altri, però, i 1914 non indulgono in un’esaltazione muscolare e guerrafondaia dell’immaginario bellico, anzi: la loro musica appare tragica e annichilente proprio per l’assenza di retoriche di sorta, mostrando quello che è stata la Grande Guerra attraverso gli occhi e le parole di chi l’ha vissuta sulla propria pelle, troppo spesso fatalmente. Le voci abrasive, una sezione ritmica potente e una coppia di chitarre pungenti come filo spinato sono le materie prime con cui la band ucraina confeziona un lavoro davvero intenso, stratificato e granitico, capace di scuotere ed emozionare nel profondo e di farsi riascoltare innumerevoli volte, trasmettendo emozioni livide e doloranti ascolto dopo ascolto.
Rispetto al precedente album, qui notiamo un’ulteriore sterzata verso suoni più neri e acuminati, cui una produzione con poche sbavature e gli azzeccati inserti orchestrali danno un corpo ed uno spessore ancora più definiti (si ascoltino ad esempio “Corps d’autos-canons-mitrailleuses”, “Don’t Tread On Me (Harlem Hellfighters)”), mentre i sample audio d’epoca o le cornamuse della lunga “The Green Fields Of France” contribuiscono all’immersione pressochè totale negli scenari istoriati nel disco. Anche le due collaborazioni presenti non sono lasciate al caso: il cantautore folk ucraino Sasha Boole (da qualche tempo reclutato da Nergal nel progetto Me And That Man) compare nell’acustica e straziante “Coward”, mentre la voce di Nick Holmes dei Paradise Lost restituisce il dolore dell’annuncio di una morte lontana nella tempestosa “…and a Cross Now Marks His Place”. In “Where Fear And Weapons Meet” c’è un’urgenza velenosa che si fa sempre più pressante, aumentando la velocità negli assoli, rallentandoli fino a renderli marziali come una marcia di morte, donando più peso al lavoro di batteria, raschiando ulteriormente la gola del cantante e condensandosi in un’ora abbondante di metal estremo, fosco e greve come il piombo delle munizioni, devastante come una mina antiuomo.
Tragico, sofferente, eppure bellissimo – semplicemente, uno dei dischi dell’anno.