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- Band: 2ECOND LASS
- Durata:
- Disponibile dal: //2002
Si inaugura nel migliore dei modi l’attività della Watch Me Fall Records: grazie al debut album dei 2econd Lass, infatti, la nuova label di Giovanni Indorato, nata da una costola dell’ormai nota Beyond Productions, si rende fautrice fin dalle prime battute di musica di classe ed orientata ad un pubblico sicuramente distante da quello finora soddisfatto con le classiche release di casa Beyond. I 2econd Lass appartengono infatti a quella schiera di artisti che parte senza una precisa idea di come si evolveranno forma, struttura e sostanza della loro produzione creativa, ed attinge direttamente dall’esperienza e dall’eterogeneità di influenze che solcano tre decadi di avanguardie e tendenze artistiche, per giungere ad un risultato che non pecca mai in personalità ed originalità. Nei 2econd Lass c’è il genio vellutato del Duca Bianco degli anni settanta, così come le melodie accattivanti ma intrise di eleganza e raffinatezza dei Duran Duran e la componente psichedelica e avanguardistica di Pink Floyd e Tangerine Dream: il tutto contestualizzato ed amalgamato con una classe e spontaneità che raramente avremmo potuto attribuire a dei giovani ragazzi alla loro prima esperienza su una label indipendente. Tutto parte da Bowie – pardon, Ziggy Stardust – e da un’intro che cita Orson Wells nel suo celebre annuncio radiofonico sullo sbarco degli alieni sulla terra, e “Spaceman” (film culto ed archetipo della fantascienza così come la conosciamo al giorno d’oggi), per poi immergere l’ascoltatore in un’esperienza musicale in cui nulla viene lasciato al caso o tantomeno centellinato ad appannaggio di melodie di facile consumo, travolgendo l’ascoltatore con le raffinate trame di “Flowers Of Doubts” e la successiva coda strumentale “Walking Into The Vanity Garden”, in cui spettri di The Cure e Pink Floyd si rincorrono completandosi in un amplesso di colori e profumi d’altri tempi. Ogni movimento è un delizioso episodio a sè stante, cesellato nei minimi particolari, che riesce ad incastrarsi in un ben più grande progetto – noi musicofili diremmo ‘concept’ – che ci riporta indietro ed avanti nel tempo, come una puntina del giradischi impazzita od un lettore ottico inceppatosi sulla linea degli anni. Ed ecco che la storia che fu, e quella che verrà, rivivono nei synth e l’incedere wave di “Rouge”, nella cantilena post-dark di “Darkness Fashion” e “Black Radius”, nella citazione/tributo a Rozz Williams nell’introduzione pianistica di “No More Gladness”, e nella conclusiva “LMLM” in cui vengono chiamati in causa The Cult e The Mission nelle loro rispettive vesti più acustiche e riflessive. Nei 2econd Lass c’è il dolce canto di morte, ed il funereo pianto d’amore: un unico e continuo girotondo d’emozioni che non conosce fine. Ancora play – da capo – senza timore.