7.0
- Band: 3TEETH
- Durata: 00:46:50
- Disponibile dal: 22/09/1983
- Etichetta:
- Century Media Records
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Con quell’immagine da guerrieri post-apocalittici alla “Mad Max” e una ricetta sonora ipertecnologica frutto della commistione bombastica di metal ed elettronica, i 3Teeth sono una delle formazioni perfette per inquadrare la disumanizzazione tecnologica della nostra società. Tra un algoritmo e un’intelligenza artificiale, un bot e una nauseante fiumana di dati elaborata da macchinari sempre più potenti, non si poteva che arrivare al freddo, crudele, mondo odierno.
Per musicarlo, viene bene utilizzare proprio questo “EndEx”, partorito dal gruppo lontano dalla natia Los Angeles e che per plasmare la sua scintillante scocca digitale si è potuto giovare del contributo del sound designer Mick Gordon (noto per il suo lavoro sul videogioco “Doom”) accanto ai già affiatati produttori Nick Rowe e Sean Beavan.
Reduci dagli ottimi riscontri del rombante “Metawar”, gli industrial hero californiani hanno proseguito imperterriti nella direzione di un industrial metal potente, dalla corazza perfettamente levigata, tentatore e ruffiano. Disturbante quanto basta senza diventare materia per cultori del rumore, dal potenziale commerciale elevato, diviso tra scariche di violenza scellerata, riflessioni, intimismo e tocco sperimentale. Qualcosa che possa far scapocciare, crescere l’adrenalina, oppure che susciti reazioni più stupite e perfino qualche inquieto pensiero, pensando a dove conduca quest’ansia tecnologica, questa istintività che porta a consumare tutto senza godere di nulla.
Così come sono oggi, i 3Teeth sono una perfetta rappresentazione metal al servizio delle masse, così attenti alle melodie a presa rapida, ai ritmi coinvolgenti, al groove martellante che prende e ti porta via. Come e più che in “Metawar”, c’è molta carne al fuoco e i temi sonori affrontati sono diversi, come diversa è la riuscita degli intenti di partenza. Il precedente album aveva un filo conduttore secondo noi più solido, si concedeva in media meno divagazioni e aveva un appeal più costante. “EndEx”, pur proseguendo su quella scia, ondeggia di frequente tra approcci differenti, con risultati in genere buoni ma non per forza portentosi in ogni occasione.
Funzionano generalmente bene le tracce più massicce e ignoranti, quelle dove la band sfoga il proprio astio in modo diretto, maleducato, gongolando del proprio essere tamarro: “Slum Planet” ha un apprezzabile taglio hooliganesco e triviale, in analogia al titolo che richiama facilmente le ‘delizie’ dei tanti slum disseminati nelle metropoli di mezzo mondo. Qui chitarroni pompati, ritmiche iper-groovy e il cantato sguaiato di Mincolla fanno il bello e il cattivo tempo, confermando la bravura del gruppo nello sfornare hit come fossero panini di un fast-food.
Le analogie con Marylin Manson e i Nine Inch Nails più ‘facili’ si sprecano anche stavolta, basta sentire a riguardo un altro brano cafone e rumoroso come “What’s Left” e l’incalzare deviato delle strofe. Fa roteare volentieri le teste la mattanza di “ALI3N”, sovrasatura nel suono e nelle velocità di crociera, chirurgica per come colpisce e fugge via, lasciando dietro di sé solo maleodoranti frattaglie.
Lo strascicarsi greve dell’opener “Xenogenesis”, al contrario, sta tra quelle canzoni che convincono fino a un certo punto: un midtempo cupissimo e raggelante, evocatore di atrocità, dalla bella atmosfera ma un po’ fermo, come se promettesse molto e, infine, non desse tutto quello che ci si aspetterebbe dopo il promettente avvio. Anche “Acme Death Machine”, apprezzabile per quanto è articolata e l’ambivalenza delle emozioni suscitate, rimane un po’ a mezza strada, tra sprazzi di violenza tracotante e aperture melodiche solo discrete. Sul versante pulito e ruffiano, ci pare più calibrata e meglio strutturata “Higher Than Death”, che disvela presto i suoi intenti e li segue senza tentennamenti dall’inizio alla fine. Mentre, avvicinandosi all’Author & Punisher degli ultimi tempi, si fa decisamente ben volere con le sue ambientazioni più distese e di ampio respiro “Plutonomicon”, l’occasione in cui le voglie di sperimentazioni e le reali possibilità della band meglio si sposano.
Sul capitolo ‘nuovi linguaggi’, non ci ha convinto del tutto la collaborazione con Ho99o9:er quanto sia forte il carico di tossicità e devianza della collaborazione con il progetto hip hop-industrial americano, la combinazione funziona fino a un certo punto, sommersa da un fiume di parole che lascia poco respiro alla musica.
Nel complesso, pur offrendo un lavoro in linea con il proprio lavoro, ben costruito e stimolante per qualità e quantità di soluzioni adottate, non c’è stato un ulteriore salto in avanti al confronto di “Metawar”, lievemente più compatto e debordante di questo comunque buono “EndEx”. I fan della band dovrebbero in ogni caso apprezzare e, forse, saranno ben più indulgenti di noi su alcuni passaggi leggermente meno a fuoco.