7.5
- Band: 3TEETH
- Durata: 00:46:34
- Disponibile dal: 05/07/2019
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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Avaro di nuove proposte di valore – facciamo pure di nuove proposte e basta – l’industrial metal vive da parecchi anni una sorta di abbandono. Capita ad alcuni filoni, a volte la riscoperta di determinati approcci sonori avviene in tempi abbastanza brevi, in altri casi la polvere si accumula così a lungo che quasi ci si scorda della loro esistenza. Le serrate guerriglie urbane ipertecnologiche di gente come Skinny Puppy, Front Line Assembly, Ministry non sembrano sedurre così tanto i musicisti di oggi, paradossalmente in un momento storico di grandi contaminazioni con l’elettronica e il suo effettivo sdoganamento e accettazione in numerosi sottogeneri. Mentre l’espressione dell’industrial nella sua forma più pura e riconoscibile, non granché mediata da altri influssi, stenta a trovare validi seguaci. Con alcune lodevoli eccezioni. Una delle migliori è sicuramente rappresentata dai 3Teeth di Alexis Mincolla, che coi due primi full-length (l’omonimo del 2014 e “<shutdown.exe>” del 2017) hanno messo bene in chiaro cosa significhi suonare industrial metal nei tempi moderni. L’approdo su Century Media porta a un irrobustimento della componente metal, a parziale sfavore dell’elettronica, per un risultato finale all’insegna di un rumore patinato, pericoloso, straordinariamente catchy e appiccicaticcio.
Meglio aver ben presente estetica del disco – un artwork sci-fi che sa di forme in latex, eccessi ed estremismi concettuali, a predominio di rosso e nero – e i ben cinque video girati per altrettanti singoli, per poi andare a trovare perfetta corrispondenza durante l’ascolto all’immaginario visivo così apertamente sfoggiato. È un attimo ritrovarsi, con la mente, alla metà degli anni ’90 o, nelle figliazioni commercialmente di ampie vedute e furbette del genere, dinnanzi alle derive di Nine Inch Nails e Marilyn Manson quando i 2000 erano ormai lì lì per palesarsi. Groove a palla, chitarroni tranciati e pompati con ostentazione davanti a tutto il resto, vocalizzi acidi e imbelviti, dove non è mai sottaciuta una verve di sarcasmo e fragoroso compiacimento, sono gli ingredienti fondanti di una tracklist miscelante impatto dinamitardo, divertimento, chorus martellanti e astuti richiami darkwave. “’Metawar’ parla di universi che collidono l’uno contro l’altro, esprime l’idea che se l’uomo non crea il proprio mondo, viene spesso schiacciato dal mondo di un altro”, afferma il carismatico, baffuto Mincolla, e al di là della grandeur apocalittica che simili dichiarazioni vogliono emanare, è una frase che calza a pennello ai contenuti dell’album.
Un disco passionale e lucido nello scatenare putiferi digitali, abbondando in tema di effetti dirompenti e ad alto grado di suggestione, perché fotografa una tipica situazione di caos losangelino, con l’ansia metropolitana a farla da padrone e a mettere a soqquadro fisico e mente, durante notti insane che paiono trasfigurare anche l’individuo di più sani princìpi. Dilatando i tempi e accogliendo volentieri umori dark, sottilmente lascivi e perversi, i 3Teeth scoprono carte quasi migliori che nell’aggressione pirotecnica, portando a segno colpi netti come “ALTÆR” (orrorificamente mansoniana), “Surrender” (Trent Reznor quasi appare in ologramma), “Blackout”. Gli assassinii a bordate di neon accecanti di “EXXXIT” e “President X” arrecano egualmente un beato male, con la cover stralunata di “Pumped Up Kicks”, originariamente placida hit indie a ritmo caraibico dei Foster The People (il testo, paradossalmente, è agghiacciante nella sua semplicità), a far da sardonica chiosa. Potremmo soltanto eccepire che la band, bene o male, avanzi in piena sicurezza e non osi nulla di rivoluzionario: poco male, in ultima analisi, i 3Teeth confezionano un album di sicuro appeal per gli amanti dell’industrial in cerca di giovane linfa vitale. Già cresce l’attesa per la prima calata italiana dei californiani, prevista il prossimo febbraio 2020.