A STORM OF LIGHT – Anthroscene

Pubblicato il 02/10/2018 da
voto
8.0
  • Band: A STORM OF LIGHT
  • Durata: 00:51:00
  • Disponibile dal: 05/10/2018
  • Etichetta:
  • Translation Loss

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Quante band hanno nel DNA l’eredità dei Killing Joke, o li citano come fonte d’ispirazione, deludendo le attese? Ecco, non è questo il caso degli A Storm Of Light, che con questo quinto lavoro, dopo aver mostrato parecchio di positivo, sfornano un album potente e senza sbavature, che sarebbe potuto uscire proprio dalla penna di Geordie &co., pur con la giusta dose di personalità. La filiera da cui discendono Graham e soci è comunque variegata e ricca, con echi ad ampio spettro che omaggiano con intelligenza la no wave newyorchese e il post punk americano: un brano come “Life Will Be Violent” riporta per esempio alla mente anche i compianti The God Machine, sia per cadenze che per il senso di disperazione profuso. È peraltro uno dei brani più elaborati ed eclettici del lotto, dove fa capolino anche un giro di basso ieratico e ipnotico, non distante dai fumosi lavori di Al Cisneros e dei suoi Om. Ma la ricchezza del lavoro si spiega con ascolti multipli, allorché apriamo la nostra percezione alle piccole, grandi variazioni presenti in questo tessuto di oppiaceo e potente oblio; Il punto di forza – e da applausi – sono le tracce più ipnotiche: in primis l’opener “Prime Time”, o la cupa “Blackout”; in entrambe anche la presenza di tastiere non invasive ma potenti rende il tutto ancora più morboso. Ed è proprio l’amalgama tra i vari strumenti a determinare la straordinaria riuscita di questo lavoro, da ascoltare tutto d’un fiato (a tratti soffocato dalle atmosfere), su cui svetta il lavoro di Josh Graham: tra la voce abrasiva e a tratti spiritata e le preziose trine di chitarra, in grado di creare paesaggi sonori e percettivi quasi allucinatori. Fatevi avvolgere dalla crepuscolare ed evocativa “Slow Motion Apocalypse”, che dopo un andamento circolare si trasforma in una sorta di diafano mantra nel finale, oppure dai momenti di assoluto impatto sul finale dell’album, pur in maniera diversa: “Laser Fire Forget”, giocata su ritmiche rallentate ma avvolgenti, e il tribalismo industrial di “Rosebud”, che richiamano in una forma più ieratica quanto sentito già prima nella trascinante “Short Term Feedback”; soprattutto grazie all’apporto dietro la batteria di Chris Common, così come è tutt’altro che superficiale il ruolo di Domenic Seita. Che guida la band come un serpente sotterraneo, sbucando in superficie con potenza in un brano come ”Dim”, dominato dal suo basso tumultuoso e dotato di un tocco decisamente vicino ai migliori Tool. Un lavoro, insomma, che arriva quasi a fine anno ma si staglia tra le uscite più interessanti e conturbanti di questo 2018, fuori da facili etichette.

TRACKLIST

  1. Prime Time
  2. Blackout
  3. Short Term Feedback
  4. Life Will Be Violent
  5. Slow Motion Apocalypse
  6. Dim
  7. Laser Fire Forget
  8. Rosebud
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