8.0
- Band: A SWARM OF THE SUN
- Durata: 01:11:16
- Disponibile dal: 06/09/2024
- Etichetta:
- Pelagic Records
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Il duo svedese A Swarm Of The Sun ha pochi termini di paragone persino nel variegato universo di approcci e contaminazioni che caratterizzano la scena post-metal internazionale, grazie ad un percorso encomiabile fatto di album costruiti con originalità e meticolosa pazienza.
A partire da un esordio (“Zenith”) debitore del suono dei Cult Of Luna ma ingentilito da un gusto per la melodia che non ha mai disdegnato l’alternative rock (“Refugee”, “I Fear The End”), Erik Nilsson (già vocalist dei Faithful Darkness) e Jakob Berglund hanno affinato progressivamente il loro stile, eliminando ad ogni nuovo lavoro elementi che caratterizzavano quello precedente; quest’opera di sottrazione continua ha portato al più rarefatto “The Rifts”, e in seguito a “The Woods” (2019), che rinnegava la una forma canzone a favore di tre lunghi frammenti posti a metà strada tra i Mono di “Hymn To The Immortal Wind” e la malinconia inconsolabile di Nick Drake.
“An Empire”, pubblicato a ben cinque anni dal precedente lavoro, fa tesoro delle esperienze passate portando a compimento la maturazione del progetto e firmando quello che è, nell’opinione di chi scrive, se non il capolavoro degli A Swarm Of The Sun, almeno il capitolo più completo (e riuscito) della loro storia.
L’album si apre con “This Will End In Fire” un solenne drone d’organo a sostenere una melodia struggente, degna del più ispirato Ben Frost: sette minuti di apnea, in attesa che le fiamme giungano davvero; esse arrivano con “Heathen”, una suite che nella prima parte potrebbe appartenere al repertorio dei Talk Talk più sperimentali, con un incedere placido di pianoforte sotto la cui pelle si innesta una tensione di feedback e tastiere, per poi divampare nella seconda fase, in una progressiva saturazione elettrica di rara intensità.
Come nel precedente “The Woods”, ogni brano sembra arrogarsi il diritto di usare tutto il tempo necessario al proprio sviluppo: così non stupisce il singolo prescelto per presentare l’album sia “The Pyre”, diciotto minuti in cui una ballata dark folk, degna dei Current 93 e di Aerial Ruin, si gonfia di atmosfere gothic-doom per poi lasciare che un groove di ritmiche ossessive e accordi reiterati la deformino come come fosse un pezzo degli Swans di “The Seer”.
Sulla dissolvenza di una suite tanto complessa affiora la title-track, che riporta il disco sul sentiero della canzone d’autore, quella con il passo sofferto del Nick Cave di “Ghosteen” ed il cantato depresso di Mark Linkous (Sparklehorse), mentre in The Burning Wall” pare di sentire gli Smashing Pumpkins di “Gish”, certo, ma esausti, seduti a descrivere i bagliori di una battaglia senza mai la volontà di intervenire.
L’album chiude infine il sipario con una seconda suite, “Anthem”, meno coinvolgente di “The Pyre”, ma comunque affascinante, che parte in una rarefazionein grado di ricordare i lavori più sperimentali di David Sylvian (“Approaching Silence”) e successivamente soccombe ad un crescendo epico di tastiere e percussioni.
“An Empire” è dunque per gli A Swarm Of The Sun un punto di arrivo e al tempo stesso l’occasione per un percorso differente, e questo si riflette anche sulle sensazioni provate durante l’ascolto: da una parte il malinconico sospetto che questo possa essere l’ultimo album inquadrabile (sia pure con molti distinguo, come vi sarà chiaro dai riferimenti musicali sparsi lungo il testo) all’interno della categoria metal, dall’altra la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un lavoro maturo, di un progetto consapevole delle proprie potenzialità.
Un disco, insomma, che merita un ascolto approfondito, attento, e, soprattutto, senza pregiudizi.