3.0
- Band: AAVV
- Durata:
- Disponibile dal: /09/2003
- Etichetta:
- Pick Up
- Distributore: Edel
L’esperienza industrial con i nostrani Death SS nel recente “Humanolies” deve evidentemente aver ben spronato Fabrizio Grossi (bassista italiano trapiantato da qualche anno negli Usa, con all’attivo anche un’apparizione su “Fire Garden” di Steve Vai) ad estendere il suo operato nel remunerato settore degli album tributo. In tandem con l’altro compare J.P. Cervoni (alias Gianpaolo Cervoni, direttamente dalle campagne della Ciociaria), session man abbastanza stimato del circuito televisivo statunitense, danno vita ad un omaggio allo storico quartetto britannico. Fin qui nulla di strano. I problemi insorgono nel momento in cui viene deciso di far figurare nelle cover personaggi che con l’hard rock (ma anche con il rock) non hanno il minimo punto di contatto, e allo stesso tempo di imprimere un tocco industrial ad alcuni degli 11 brani. Operazione già opinabile in sé, ma quando tocca il più grande gruppo della storia del rock, la vicenda si fa dannatamente seria. Ma veniamo ai brani. Si parte con una pietosa rilettura di “Whole Lotta love” che vorrebbe svilupparsi a partire dall’originale break rumoristico, ma che alla fine si rivela un pasticcio new metal con una sezione ritmica piatta, e dove nemmeno la chitarra di Steve Lukather riesce a portare benefici. Raccapricciante la versione gangsta-rap della tellurica “Heatbreaker” interpretata da George Clinton, così come “Black Dog” cantata da Edsel Dope. In questa valle di lacrime vanno segnalate ancora due rivisitazioni in chiave rap, ovvero “No Quarter” cantata da Ice T e una “Kashmir” martoriata dal rapper Sen Dog (una versione talmente disgustosa da far apparire passabile persino quella di Puff Daddy di un paio d’anni fa). Appena passabile “All My Love”, cantata dall’ex GNR Gilby Clarke ed impreziosita da un discreto solo di Tracii Guns. Per il resto è netta la sensazione di trovarsi dinanzi ad uno dei più vergognosi dischi tributo della storia della musica. Ovviamente il problema di questa uscita non risiede nella distanza stilistica dalle versioni originali, quanto nell’incapacità (totale) dei big coinvolti di offrire delle riletture interessanti di brani passati alla storia. Siamo di fronte a gente che, oltre a non avere un centesimo del talento del talento degli Zep, dimostra anche di non aver metabolizzato sonorità che sono alla base di ogni musicista che si rispetti. Chiaro tuttavia che le colpe maggiori ricadono su Grossi e Cervoni, mai come in questo caso squallidi mestieranti del metal, pessimi direttori artistici, e musicisti dal talento al di sotto dello zero. Disco passibile di denuncia penale.