7.5
- Band: ABATON
- Durata: 00:46:22
- Disponibile dal: 01/10/2015
- Etichetta:
- Drown Within Records
- Unquiet Records
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Continuano sulle coordinate tracciate dal precedente “Hecate” i cinque forlivesi, e il risultato non delude affatto. I loro brani restano, esattamente come nel loro primo full length, oscillanti tra diverse componenti musicali, su cui si staglia un cantato quasi sludge, ma tutt’altro che grezzo; gli strepiti melodici (passateci l’ossimoro) di Silvio affrescano fulmini e squarci tempestosi nel cielo delle chitarre, che suonano per lo più affini a un doom rarefatto, atmosferico, reso ancora più cupo da un basso pieno e compulsivo, il cui lavoro risulta davvero centrale: un esempio su tutti, la splendida “Ananta”. Qui, come in alcuni altri momenti dell’album, si sfiorano anche lidi blackgaze, a dimostrazione del fatto che, fortunatamente, quando ci sono buone idee supportate da buoni musicisti, poco importano le etichette. E così, quasi a sottolineare questa doppia anima che permea la band, l’intero album è costruito su due facce intrecciate: quattro tracce (quelle pari) hanno titoli convenzionali e offrono il tappeto complessivo fatto di oscurità e meditazione, mentre le altre cinque, che in generale mostrano il lato più violento del combo romagnolo, sono semplici numeri romani, compresa l’eccezione rappresentata da “[N]”, quinto brano, cardine, punto di svolta, centro della violenza vorticosa che si insinua sottopelle da questa seconda dimensione, se non parte vera e propria, dell’album. E proprio dalla pelle, “Flesh”, poco più di un malinconico intermezzo, si apre la sontuosa suite del settimo brano, quel piccolo capolavoro rappresentato da “[IV]”: pesante come la propria pietra tombale, ma ammaliante come un fuoco fatuo, riporta alla mente senza timore di paragoni scomodi i paesaggi oscuri e lisergici insieme dei Neurosis. E scusate se è poco. Undici minuti di grande emotività, da cui “Every choice will be revealed”, per citarli, specialmente quella di non compiere scelte troppo facili da parte della band; “We Are Certainly Not Made Of Flesh” non è un album di assimilazione immediata, in effetti, e non per cervellotiche complicazioni sonore. Semplicemente, in un genere che sicuramente offre tante belle realtà (altro facile paragone che viene alla mente sono gli ottimi Usnea), non permette la comodità di risentire un singolo brano: ci vogliono diversi ascolti interi per coglierne appieno il valore, e goderne l’atmosfera complessiva.