7.5
- Band: ABERRATION
- Durata: 00:42:00
- Disponibile dal: 22/03/2024
- Etichetta:
- Sentient Ruin
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Basta dare uno sguardo alla line-up degli Aberration per intuire che da una formazione come questa ci sia da aspettarsi concretezza. In un underground estremo dove molti musicisti tengono a mantenere un basso profilo, lasciando che sia solo la loro arte a parlare, non è probabilmente il caso di utilizzare la definizione di “all star band”, tuttavia, con membri provenienti da Suffering Hour, Void Rot e Nothingness, è chiaro che il quartetto di Minneapolis sia qualcosa in più dell’ennesima band emergente.
Dopo avere pubblicato un EP nel 2021 e uno split con i Diabolic Oath solo pochi mesi fa, gli statunitensi ricompaiono con un primo full-length che ripropone le coordinate dissonant death metal esplorate in precedenza, mettendo in primo piano il prevedibile magma a base di intricati intrecci di note e sghembe armonie, il tutto al servizio di un’intenzione più profonda, quella di comunicare un messaggio filosofico ed emotivo che sembra voler andare oltre l’emissione di riff e di una voce che, come al solito, trasuda angoscia e tormento.
La gestazione del disco dà l’idea di essere stata lunga e complessa, sia per la necessità di definire una direzione a un progetto costruito su personalità assai forti, sia magari per il rallentamento imposto a un certo punto dalla pandemia. Il risultato finale è però qualcosa di stimolante e, come accennato, particolarmente concreto: se certe formule, a partire dai giochi di dissonanze, sono ormai un elemento ricorrente, se non addirittura prevedibile, in molte produzioni extreme metal odierne, va riconosciuto agli Aberration una consistente abilità nel maneggiare questi temi. Del resto, gli stessi Suffering Hour fondano buona parte della loro proposta su simili arie, le quali vengono qui rilette in una chiave più stentorea, dove il death metal inserisce spessore, rendendo certe cadenze maggiormente quadrate e alcuni midtempo – vedi dei passaggi della title-track – persino vagamente orecchiabili.
Ascoltando “Refraction”, sono soprattutto certi Altarage a venire alla mente, in particolare perché quel mood di disorientamento tipico di questo particolare filone viene appunto spezzato da partiture più groovy che sembrano tendere una mano verso l’ascoltatore, offrendo un appiglio sotto forma di riff o spunti in grado di farsi ricordare quasi subito. È tutto “Refraction” in quanto album, però, a risultare un’opera dall’inoppugnabile ragione di esistere: le tracce – scorrevoli e ben prodotte con suoni che ricercano anche una certa pulizia e immediatezza, oltre alla consueta spigolosità – denotano una gamma di registri piuttosto ampia, alternando momenti aggressivi a parentesi più dilatate, dal tocco industriale, in cui una sottile linea melodica avanza dinamica e senza remore. La quarantina di minuti del disco riesce insomma a destare l’attenzione, offrendoci il materiale più completo sinora firmato dagli Aberration e presentandoci quindi una formazione che sembra decisa ad andare oltre l’ipotetica somma dei propri componenti.