7.0
- Band: ABIGOR
- Durata: 00:36:02
- Disponibile dal: 29/01/2018
- Etichetta:
- Avantgarde Music
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Dopo l’ambizioso “Leytmotif Luzifer”, riecco i prolifici Abigor, che toccano quota dieci album in un quarto di secolo di attività. I caratteristici passaggi folk e ipnotici dei loro esordi, già messi alquanto a riposo nel precedente capolavoro, sono ormai scomparsi, e così “Höllenzwang” si configura come un quadratissimo assalto che spinge ancor di più il sound in direzione della sperimentazione, dei tempi dispari, dell’assoluta imprevedibilità. Il sottotitolo dell’album titola “Chronicles of Perdition”, e ci pare perfetta la modalità con cui il duo austriaco persegue questa narrazione: nove capitoli sfaccettati, che hanno in comune l’afflato sulfureo, ma votati per il resto a sorprenderci. Non ci sono praticamente brani che facciano breccia grazie a velocità folli, o a ritmiche forsennate, anche se la batteria di T.T. si mette a far concorrenza in molti passaggi a Hellhammer; e va detto anzi che la teatralità di brani come “Black Death Sathanas” e “Hymn To The Flaming Void“, o il tempo cangiante della conclusiva “Ancient Fog Of Evil”, ci porterebbero a citare gli Arcturus, se dovessimo pensare a paragoni con altre band. Ma con gli Abigor ci troviamo al cospetto di Maestri assodati, abituati a colpire nel segno, e quindi nessuno stupore; e pare anzi corretto sottolineare che l’esito è quasi sempre quello di brani che non perdono in impatto a scapito di superflue variazioni. Mirabile anche il lavoro cangiante ed espressivo di Silenius, che per la seconda volta torna dietro il microfono in veste di ospite e dona linee vocali eccellenti (“Sword Of Silence” su tutte) e si riaffaccia per la seconda volta a distanza di pochi mesi sul mercato, dopo il recente ritorno dei suoi Summoning. Si accelera un po’ su “None Before Him”, che passa anche per momenti cavernosi e più cupi vicini al blackened death contemporaneo, in linea con il demone evocato nel titolo; mentre la successiva “Olden Days” è il pezzo più scarno musicalmente, ma in cui Silenius tocca i momenti più dissonanti. Menzione d’onore, infine, per “Christ’s Descent Into Hell”: grandguignolesca, maligna, eppure esaltante – e arricchita da una voce femminile declamatoria. Un album che coniuga innovazione e tradizione, per citare le note di accompagnamento fornite, in un equilibrio di gran classe e impatto.