7.0
- Band: ABNORMALITY
- Durata: 00:38:54
- Disponibile dal: 04/29/2016
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Secondo full-length per gli Abnormality, che abbandonano il mondo prettamente underground per approdare addirittura nel roster della Metal Blade Records, etichetta leggendaria ma ormai da qualche tempo poco incline a mettere sotto contratto realtà estreme. Il gruppo del Massachusetts è un’eccezione che conferma la regola: dopo essersi fatti le ossa su Sevared Records, pubblicando il valido “Contaminating The Hive Mind”, Mallika Sundaramurthy e compagni si sono concentrati sulla stesura di questa nuova opera, non mancando affatto di sottolineare la loro fedeltà al verbo death metal. Rispetto al debutto è indubbio che la band si sia mossa in una direzione un poco più moderna, nascondendo almeno in parte l’ingombrante influenza dei Suffocation che dominava sulle loro prime prove, ma ciò non si è comunque tradotto in ammiccamenti commerciali e leggerezze. Sostanzialmente, si può affermare che il gruppo sia soltanto diventato più elastico: anche quando i ritmi si fanno assai sostenuti, il riffing denota sempre una certa rotondità, mentre nelle trame è sovente possibile scorgere un vago afflato melodico. La matrice “brutal” tanto cara alla scuderia Sevared Records rimane sullo sfondo, mentre nel fulcro del disco siamo più vicini a un death metal tanto frenetico quanto ordinato, influenzato in primis dai Cryptopsy, dalla meteora Cerebral Bore e dai Decapitated degli inizi. “Mechanisms of Omniscience” presenta un paio di parentesi groovy subito contagiose, tuttavia non è immediatissimo nel suo insieme: le sfumature che risiedono nella scelta dei suoni o in alcuni passaggi particolarmente convulsi vengono svelati solo dopo un discreto numero di ascolti, così come tende a permanere un’atmosfera ostile e ambigua, che ben presto potrebbe alienare i fruitori più distratti o impreparati. Per tutti gli altri, in particolare coloro che hanno seguito le traiettorie del death metal a cavallo tra i tardi anni Novanta e i primi Duemila, l’album potrebbe invece rappresentare un bel ritorno a casa. Gli Abnormality, del resto, continuano a restare con i piedi per terra e il loro songwriting di rado dà l’idea di essere poco concreto: i riff e la canzone sono sempre al centro del “progetto”, i passaggi inconcludenti si contano sulle dita di una mano e l’ascolto, di conseguenza, risulta piacevole. Certo, non abbiamo ancora una hit del calibro di “White Worms” o “The Fury”, ma per la maturità definitiva si può attendere almeno un altro album.