5.5
- Band: ABRAHAM
- Durata: 00:45:43
- Disponibile dal: 01/10/2012
- Etichetta:
- Pelagic Records
- Distributore: Audioglobe
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Purtroppo non possiamo fare altro che constatare come la Pelagic Records di Robin Staps abbia la tendenza, alquanto infruttuosa, a pubblicare lavori di band che sotto tanti punti di vista sembrano dei semplici cloni dei suoi The Ocean. Non fanno eccezione, anzi confermano i timori, questi svizzeri Abraham, fautori di un metalcore muscoloso, progressivo, un po’ sludgy, anche atmosferico se vogliamo (un po’ meno) e dal vago retrogusto “post”, che mostra davvero poca inventiva sotto l’aspetto stilistico, e che è portabandiera di un sound che si perde senza grossi problemi in un calderone enorme di band affini che vede come sommi esponenti i The Ocean appunto, i Between The Buried And Me, i Buried Inside e i Breach. “The Serpent, The Prophet & The Whore” è il secondo lavoro in poco più di un anno per i Nostri e introduce praticamente zero novità rispetto al modesto precedessore “An Eye On The Universe”, e semmai aggiunge solo ulteriore ridondanza ad una proposta già stra-sentita altrove. Il sound propostoci dai Nostri non mostra una grossa ricerca musicale, ma questo non sarebbe un problema (basta guardare cosa sono riusciti a fare i Dillinger Escape Plan e i Botch per esempio, pur con un sound tutto sommato non rivoluzionario per il genere), se non fosse per il fatto che anche le atmosfere proposte e il lato prettamente compositivo della musica degli svizzeri soffrono non poco quando arriva il momento di lasciare davvero una impressione di rilievo in chi ascolta. Nel fare la tanto agognata, ma inevitabile, carrellata di cliché che attanaglia la musica dei Nostri si potrebbe iniziare dalle voci del frontman Renzo che, con il loro latrato tormentato, un po’ sognante e intellettualoide, e completamente monocorde, nulla fa per distaccarsi da uno stile ormai ampiamente impostoci dai vocalist dei vari Cult Of Luna, Knut, Rosetta, e come si diceva in apertura dai mai dimenticati Breach. Non essere i primi a sperimentare va benissimo, ma almeno tentare qualcosa di nuovo. Stessa cosa si può dire per la sezione strumentale tutta, che nelle parti più rocciose e muscolose ricorda molto, troppo, da vicino i The Ocean saturi e macchinosi di “Aeolian”, o la brutalità sludgy dei Knut di “Bastardizer”, e in quelle più rarefatte fa balzare immediatamente agli occhi i montagnosi soundscape di Rosetta e Mouth Of The Architect. In questi ultimi momenti più lenti e atmosferici c’è anche spazio per qualche momento più intimista, melodico e proggy, del tutto in linea con il verbo dei Callisto o dei Transmission 0, o addirittura degli ultimi Isis, band ormai scopiazzata fino alla nausea più profonda. Non ce ne vogliano gli Abraham, il disco in questione è suonato con passione, convinzione, dedizione e non senza capacità tecniche, e si sente, ma le ombre che si estendono sulla loro proposta e sul loro sound da parte dei vari mostri più o meno sacri sono del tutto innegabili, e in un mercato del post-hardcore moderno – soprattutto europeo – così sovrappopolato e inflazionato, l’originalità e la capacità di dire qualcosa di nuovo sono ormai variabili irrinunciabili nella valutazione finale, e che in questa sede, purtroppo, pesano non poco.