7.0
- Band: ABSCESS
- Durata: 00:52:25
- Disponibile dal: 15/03/2010
- Etichetta:
- Peaceville
- Distributore: Halidon
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Sono ormai sedici anni che gli Abscess continuano a sfornare album di buon livello circondati dall’indifferenza più assoluta. Certo, il fatto di essere sempre rimasti nell’underground non ha minimamente toccato Chris Reifert e soci, che anzi proseguono per la loro strada fatta di death metal old school venato di punk black. La loro musica non concede assolutamente nulla alla modernità e, se possibile, ancora meno alle logiche commerciali. Dentro “Dawn Of Inhumanity”, così come nei suoi predecessori, troverete solo musica che sgorga direttamente dal cuore, schietta, sincera, brutale e ferale. I brani non sempre sono riusciti, ma l’attitudine e l’orgoglio della band sono salvi. Questo nuovo lavoro, il sesto full length della loro carriera, non regala sorprese di sorta, ma ci consegna un quartetto in buona forma e decisamente ispirato, seppure solo a tratti. Inutile ricordare che Reifert e Coralles hanno un passato glorioso con i mitici Autopsy e che lo stesso Clint Bower è stato membro degli Hexx, storica band ottantiana di metal estremo: dall’unione di queste sensibilità non poteva che nascere della musica decisamente lontana dalle mode del momento, qualunque esse siano. E’ fin troppo facile tracciare dei paralleli con gli Autopsy, ma a tratti il death dei nostri parte proprio da lì, prendendo però strade diverse, che lo portano vicino al punk black dei Darkthrone e anche all’heavy doom primigenio dei Black Sabbath. I primi sei brani di “Dawn Of Inhumanity” si collocano tra le migliori cose in assoluto degli Abscess a cominciare proprio da “Goddess Of Filth And Plague”, tra Autopsy, primissimi Morbid Angel e Darkthrone. A seguire troviamo la sabbathiana “Torn From Tomorrow”, con le chitarre di Bowers e Coralles a disegnare magnifici riffoni settantiani. Molto bene anche “Never Sane Again” e la titletrack, due brani prettamente death che però vengono squartate da inserti doom lenti e putridi. “The Rotting Land” e soprattutto “Dead Haze” al contrario sono quasi interamente doomeggianti, soprattutto la seconda che poggia su arpeggi chitarristici tanto semplici quanto oscuri. Da questo punto in poi però la band pare perdere l’ispirazione e i quattro brani rimanenti, lungi dall’essere brutti, diventano fin troppo prevedibili e banali. Resta il fatto che Reifert e soci, puntando tutto sull’impatto e sulla semplicità, riescono ancora ad imbastire trame interessanti e coinvolgenti. Poi è vero che non saranno gli Autopsy e che non occuperanno mai un posto di rilievo nella storia della musica estrema, ma gli Abscess meritano davvero di essere ascoltati ed apprezzati per quello che sono: un’ottima band che suona del sano e sempre efficace death metal della vecchia scuola!