7.5
- Band: ABYSSAL
- Durata: 00:57:53
- Disponibile dal: 21/06/2019
- Etichetta:
- Profound Lore
- Distributore: Audioglobe
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A quattro anni di distanza dal portentoso “Antikatastaseis”, disco che ne aveva filtrato le visioni apocalittiche attraverso la lente di una ricerca melodica affinatissima, gli Abyssal riemergono dalle tenebre per consegnarci un nuovo capitolo della loro saga di introspezione e vagabondaggio nei territori death-black più ostici e cavernosi. Un progetto da sempre identificabile nel cantante/polistrumentista G.D.C., tornato dopo la suddetta parentesi ‘ariosa’ ad esprimersi su registri soffocanti con il nuovo “A Beacon in the Husk”, nove brani per circa un’ora di musica che, fra tensione sperimentale e rimandi ad alcune pionieristiche realtà dei Nineties, delineano un paesaggio ignoto e sconfinato, non troppo dissimile da quelli concepiti nelle profondità del cosmo o degli oceani dal solitario di Providence. Un suono che gioca quindi di stratificazioni, riverberi e dissonanze per veicolare un messaggio mai del tutto decifrabile, in cui i diktat stilistici di Gorguts e Morbid Angel (i più attenti non faticheranno a cogliere un omaggio all’incipit di “Gateways to Annihilation”) vengono sistematicamente deformati dalle avanguardie strutturali di Portal e Deathspell Omega, riducendo ai minimi termini le armonie e i punti di riferimento durante lo scandirsi della tracklist.
A fronte di tanta chiusura e ostilità, l’impressione è che il Nostro abbia voluto compiere un passo a lato anziché avanti nel percorso musicale che lo ha visto diventare uno dei principali punti di riferimento del genere, assestandosi su coordinate più standard rispetto a quelle della precedente opera e sacrificando l’impeto visionario di brani come “The Cornucopian” o “Telomeric Erosion” sull’altare di una gravosità palpabile, la quale può persino riportare alla mente alcune esperienze ambient e doom. Se paragonati ad altri seguaci di Horror Illogium e The Curator – è però bene ricordarlo – gli Abyssal riescono sempre a distanziarsi da quegli sterili esercizi di contorsione posti in evidenza per mascherare una gamma espressiva fondamentalmente limitata, imprimendo al loro songwriting una concretezza che si manifesta di pari passo con il terrificante amalgama di riff e ritmiche alla base di ogni episodio. In definitiva, l’ennesimo album di valore da ascoltare da soli e al buio, senza distrazioni.