ACCEPT – Too Mean To Die

Pubblicato il 19/01/2021 da
voto
6.5
  • Band: ACCEPT
  • Durata: 00:52:07
  • Disponibile dal: 29/01/2021
  • Etichetta:
  • Nuclear Blast
  • Distributore: Warner Bros

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Inizia a mostrare la corda la seconda vita degli Accept, quella inaugurata dal fortunato “Blood Of The Nations” e giunta ora con “Too Mean To Die” al quinto album. I cambi in line-up, frequenti nell’ultimo quinquennio, hanno lasciato il solo Wolf Hoffman sul ponte di comando, attorniato da musicisti che, ad esclusione di Mark Tornillo, sono entrati in line-up a partire dal 2015. Gli avvicendamenti di questi anni, se da un lato non hanno snaturato l’essenza del sound Accept, dall’altro qualcosa debbono aver pur pesato, nello spostare sempre più le canzoni della storica band tedesca verso una standardizzazione formale ed esecutiva ora abbastanza preoccupante. In termini di energia, potenza, entusiasmo, viene difficile imputare qualcosa agli Accept, perché la fame di heavy metal da parte loro è ancora altissima e si concretizza in canzoni che non lesinano nulla quanto a foga esecutiva e ricerca del coinvolgimento. Se c’è un pregio da affibbiare a “Too Mean To Die” è proprio quello della riconoscibilità, l’essere Accept al cento per cento, senza sconti: si è in grado di identificare chi siano i suoi autori dopo una manciata di secondi dell’opener! È altrettanto vero, purtroppo, che – con poche eccezioni all’interno dei brani in tracklist – si sa già perfettamente come essi si potranno dispiegare dopo averne sentito il motivo di fondo, apprezzato il pattern ritmico e assimilato le prime strofe.
È come se, fin dall’opener “Zombie Apocalypse”, il sestetto si posizionasse su di un sicuro binario e da lì in avanti proseguisse dritto per la sua strada, incurante di apportare modifiche a formule arcinote e, in questo caso specifico, riproposte in serie con variazioni minime da una traccia all’altra. Suona quasi tutto standardizzato, un buon prodotto industriale rifinito nei particolari ma incapace di dare emozioni. Funzionale, pratico, poco espressivo. Tra uptempo grossi e fragorosi e rallentamenti che vorrebbero essere d’atmosfera, un chorus ad ampio respiro e qualche zampata hard rock, la canzone d’apertura si pone come manifesto di rassicurante prevedibilità; discorso simile può essere fatto per la titletrack, un poco più veloce e incalzante, con maggiore vivacità solista, per il resto afflitta dalla medesima monotonia. La voce di Tornillo non è diversa dal passato, eppure non graffia come dovrebbe, incapace di compiere miracoli su un comparto strumentale tanto muscolare quanto grigiastro nell’ispirazione. Va meglio, di poco, sulle cadenze meno urgenti di “Overnight Sensation”, la virata verso l’hard rock dà almeno un pizzico di ariosità all’interno di schemi rigidi, all’interno dei quali lo spazio per vampate d’estro, inserti un poco più fantasiosi della media, non paiono proprio volerci essere.
Contrariamente a quello che sarebbe lecito attendersi, col susseguirsi dei pezzi la band va conquistandosi almeno una dignitosa sufficienza, aggrappandosi al mestiere e a qualche saltuaria illuminazione. “No Ones Master” ha un dinamismo sopra la media di “Too Mean To Die” e una melodia centrale bella affilata, che dà una gradita sfumatura inquieta all’insieme; “The Undertaker”, soffermandosi a sua volta in territori relativamente oscuri, si fa ascoltare volentieri, pur senza stupire. Effettivamente, quando il gruppo si rilassa un poco, riesce a recuperare un pizzico di elasticità e a giostrare con profitto arie dark, scampoli di chitarra pulita e cori epici, quel tanto che basta per risultare magari non esaltante, ma piacevole sì. “Symphony Of Pain” ha una discreta baldanza, la mette sulla forza e azzecca un ritornello rallentato piuttosto convincente, dando modo a Tornillo di esprimersi in modi lievemente meno aspri del solito.
Per chi scrive, la canzone di caratura superiore, un unicum in “Too Mean To Die”, è quella più soft, “The Best Is Yet Come”, che richiama curiosamente il titolo di un episodio non vecchissimo di un’altra leggenda tedesca, gli Scorpions. Se ne coglie la stessa sicura positività, nient’affatto melensa, all’interno di una semiballad – dolcissima all’inizio, moderatamente fragorosa col passare dei minuti – scritta bene e interpretata con spiccata emozionalità dal singer. Come è ben lavorata, articolata negli intrecci melodici e tutto sommato intraprendente – per gli standard di ‘questi’ Accept – la strumentale di chiusura “Samson And Delilah”, che coi suoi richiami orientali non ci sarebbe dispiaciuto sentirla cantare dal buon Mark, sicuri che avrebbe avuto un suo perché. Quel che rimane è l’interlocutoria “Sucks To Be You”, l’epicheggiante e più che accettabile “How Do We Sleep” e la rockeggiante, simpaticamente brillante, “Not My Problem”. Insomma, andando avanti nell’ascolto, Hoffmann e compagni recuperano in parte il terreno perduto in apertura. Considerato di chi si tratta, però, dobbiamo essere per forza di cose esigenti: dopo aver terminato “Too Mean To Die”, vien voglia di andare a riprendere il materiale del passato…

 

TRACKLIST

  1. Zombie Apocalypse
  2. Too Mean to Die
  3. Overnight Sensation
  4. No Ones Master
  5. The Undertaker
  6. Sucks to Be You
  7. Symphony of Pain
  8. The Best Is Yet to Come
  9. How Do We Sleep
  10. Not My Problem
  11. Samson and Delilah
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