7.5
- Band: ACCUSER
- Durata: 00:50:26
- Disponibile dal: 26/01/2018
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Quando la prolificità non va a discapito della qualità. Piuttosto, costituisce un allenamento puntiglioso per affinare le proprie doti e migliorarsi costantemente. Non è così consueto che una thrash metal band non di prima grandezza nella sua prima ‘era’, come è il caso appunto degli Accuser, nella sua seconda fase di vita regali dischi convincenti uno in fila all’altro. Giungendo infine, con questo “The Mastery”, a infliggere un irrimediabile colpo da KO, mediando fra modern (in prevalenza) e classic (col contagocce) thrash con impeccabile lucidità e perizia. I tentativi di ammodernamento sono particolarmente rischiosi quanto non c’è più la freschezza della gioventù a supportarli; suonare pateticamente giovanilisti, travestirsi da ragazzini occultando male le rughe, è qualcosa di atroce. Niente di tutto questo. Per chi non avesse dato ascolto ai precedenti quattro dischi post-reunion degli Accuser, paragoni credibili potrebbero essere quelli con i Forbidden di “Omega Wave” – ma più quadrati e con meno svolazzi tipicamente heavy metal – e certi schemi d’assalto modello-carrarmato degli Exodus da “Tempo Of The Damned” in avanti. Poi, certo, anche gli aggiornamenti del thrash teutonico dei gruppi più noti del settore qua arrivano, però a dirla tutta il quartetto ha un suono maledettamente americano, che strizza non poco l’occhio ai primi due album dei Machine Head e ha dalla sua un senso del groove stupefacente. Non sappiamo dirvi se colpisca maggiormente nel segno il riffing grasso, fantasioso, cromatissimo del leader carismatico Frank Thoms, il solismo fosco e puntuale di Dennis Rybakowski, il basso ultra-heavy di Frank Kimpel oppure il drumming tecnico e veloce (gran uso della doppia cassa) di Olli Fechner; fatto sta che sia singolarmente che in equipe tutto funziona alla grande. Sono canzoni assorbite da funzioni primordiali quelle di “The Mastery”; randellare, schiacciare, spezzare, ammutolire per il sovraccarico di aggressività. Diverse le tipologie di thrash-anthem messe sul piatto, accomunate da un bilanciamento attento di up-tempo scarnificanti, midtempo massicci, groove tritaossa, dialoghi chitarristici pregevoli e funzionali ad accrescere la portata del massacro. Sfruttando anche scampoli di brutalità death e registri invasati che farebbero la gioia del NY hardcore – sentite i controcanti e la voce principale nei chorus – arrivano addosso una dopo l’altra mazzate portentose, fra cui è difficile scovare la propria preferita. Se la doppietta iniziale di “Mission Missile”/“The Real World” costituisce un biglietto da visita assai invitante e “Solace In Sorrow” offre uno dei pochi break ariosi dell’album all’altezza del refrain, è da “Time For Silence” in avanti che non si riesce veramente più a prendere un attimo di respiro. Ogni stacco introduce a una fase ancora più animosa della precedente, i cambi di velocità instillano tensione e mai distensione, il dinamismo è contagioso e porta all’headbanging mantenendo una cura per i dettagli, le finezze, la fluidità d’azione che non vengono meno in nessuna traccia. Cinquanta minuti da godere possibilmente in unica soluzione, consigliati per chi è alla disperata ricerca di thrash metal di ultima generazione con gli attributi fumanti: “The Mastery” è qui per voi.