7.0
- Band: ACE FREHLEY
- Durata: 00:54:21
- Disponibile dal: 18/08/2014
- Etichetta:
- SPV Records
- Distributore: Audioglobe
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Paul Daniel Frehley è riuscito miracolosamente a raggiungere il traguardo dei quarant’anni di carriera da professionista, nonostante abbia da sempre messo in pericolo la propria incolumità adottando uno stile di vita particolarmente estremo e discutibile. In più di un’occasione il Re del ‘power chord’ ha rischiato di porre prematuramente la parola fine alla propria esistenza a causa della sua smodata passione per gli alcolici e per l’assurda capacità di trovarsi coinvolto in terribili incidenti automobilistici. Nonostante tutto, un sopravvissuto di questo calibro si ritrova a sessantatrè anni con la ferrea volontà di sfornare un album ancorato alla tradizione, riuscendo nella difficile impresa di farlo suonare fresco ed attuale. I dodici episodi contenuti in “Space Invader” non ci offrono nulla di clamoroso o innovativo, in quanto viene ripetuta per l’ennesima volta la celebre alchimia basata su riff torrenziali ed assoli vibranti. E’ praticamente impossibile immaginare che il chitarrista del Bronx sia ancora in grado di raggiungere le vette artistiche toccate dal meraviglioso album d’esordio inciso nel 1978, ma il bizzarro protagonista riesce comunque a togliersi qualche fastidioso sassolino dalle scarpe, vincendo lo scontro diretto nei confronti dei KISS, autori un paio d’anni fa del tremendo “Monster”. La front cover illustrata con un marcato gusto vintage porta la prestigiosa firma di Ken Kelly, autore nel glorioso passato delle copertine di “Destroyer” e “Love Gun”, vere e proprie opere d’arte entrate di diritto nell’immaginario collettivo dei fan della band più calda del mondo. In questa occasione Ace ha registrato gran parte del materiale ai Creation Lab Studio a Turlock, in California, in compagnia dell’ex batterista dei Beautiful Creatures Matt Starr, avvalendosi anche della collaborazione del bassista dei The Cult, Chris Wyse. Il risultato finale è più che soddisfacente, in quanto l’opera è suddivisa tra galvanizzanti rock’n’roll (“Gimme A Feelin'”, “What Every Girl Wants)”, groove massicci di stampo ‘hendrixiano’ (“Inside The Vortex”,”Toys”) e dirompenti esempi di testosterone al cubo (“Space Invader”, “I Wanna Hold You”), che rappresentano al meglio la summa di quanto ci si possa aspettare attualmente dall’artista americano. La magia dei bei tempi andati fa capolino in “Change”, intenso ed incalzante mid tempo che sfoggia un brillante riff portante da mille e una notte. Non mancano tuttavia episodi meno felici, come le noiose “Immortal Pleasures” e “Past The Milky Way”, stanche e svogliate nel loro mesto incedere, avvolte peraltro da un retrogusto acido che le trascina sino all’auspicato epilogo. Come da tradizione, il protagonista inserisce una cover nella scaletta del disco, rendendo grazia all’immortale “The Joker” della Steve Miller Band, riletta in una versione palesemente fedele all’originale. Chiude la partita l’evocativa “Starship”, odissea strumentale di oltre sette minuti ricca di chiaroscuri chitarristici, che rievoca con pathos gli specchi infranti di un passato affatto facile, ma a modo suo affascinante e denso di mistero.