6.5
- Band: ADE
- Durata: 00:43:52
- Disponibile dal: 08/11/2019
- Etichetta:
- Extreme Metal Music
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Solidità e caparbietà sono concetti ricorrenti quando si decide di parlare degli Ade. Avviato ormai dodici anni fa e passato attraverso un corposo numero di cambi di line-up, il gruppo di origine laziale ha sempre trovato nella figura del chitarrista Fabio Palazzola il porto sicuro da cui ripartire per le proprie campagne militari a base di death metal quadrato e moderno, mantenendo così un ruolino di marcia costante sul fronte delle pubblicazioni, anche al netto dei sopracitati ostacoli. Non stupisce quindi che “Rise of the Empire”, pur introducendo la bellezza di quattro nuovi interpreti, reclutati da realtà più o meno note dell’underground nostrano come Eldritch, Subhuman e Suicidal Causticity, arrivi puntuale a distanza di un triennio dal precedente “Carthago Delenda Est”, risultandone altresì la logica prosecuzione stilistica. Fra una strizzata d’occhio ai ritmi marziali dei Behemoth (periodo “Demigod”/“The Apostasy”), un’altra al riffing ‘rotondo’ dei Decapitated e con gli stendardi di Hate Eternal e Nile a svettare all’orizzonte, il quintetto si imbarca in quella che è probabilmente la sua raccolta di brani più sobria e compatta, forte di una produzione firmata Stefano Morabito che ne evidenzia la discreta vivacità in sede di songwriting. Un risultato che è anche la conseguenza del freno messo a orchestrazioni, sample e parentesi simil-folkloristiche, un tempo limitanti nell’economia complessiva del sound e ora impiegati perlopiù come intro/outro dei vari pezzi. Insomma, nel 2019 gli Ade continuano a non uscire dal seminato dei propri capisaldi e a non rivedere la propria formula (la quale, come detto poc’anzi, risulta tutt’altro che originale), ma di contro dimostrano di saperci sempre fare quando chiamati a comporre del solido metallo della morte anni Duemila. Episodi arrembanti e funzionali come “Empire”, “The Gallic Hourglass” e “Chains of Alesia” testimoniano una realtà che ha sicuramente ancora qualcosa da dire, e che forse – trovata un po’ più di stabilità – potrebbe ambire a riconoscimenti artistici maggiori.