8.0
- Band: ADIMIRON
- Durata: 00:41:20
- Disponibile dal: 03/11/2017
- Etichetta:
- Indie Recordings
- Distributore: Audioglobe
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“Et Liber Eris”, ‘e libero sarai’. Un titolo che, accoppiato perfettamente al simbolico artwork di copertina, raffigurante un fisico scolpito in pieno tuffo verso un oceano aperto ed ignoto, la dice lunga sul nuovo lavoro dei romani Adimiron, band che da sempre seguiamo con attenzione ed affetto e che abbiamo visto crescere e mutare vieppiù nel corso della sua carriera. La conformazione del gruppo, dopo l’ottimo esito del precedente “Timelapse”, risalente ormai ad esattamente tre anni fa, è di nuovo cambiata, ribaltando a metà la line-up ormai solida che i Nostri avevano cementato nel corso degli ultimi anni: fuori Maurizio Villeato, Thomas Aurizzi ed il vocalist Andrea Spinelli, dentro Cecilia Nappo al basso e la rivelazione Sami El Kadi al microfono; Alessandro Castelli resta il mastermind degli Adimiron, coadiuvato dal fido Federico Maragoni dietro le pelli. Nel 2017, con un nuovo lavoro che vuole sprizzare – e lo dichiara – libertà da tutti i pori, la compagine in questione esce per la norvegese Indie Recordings, guadagnandosi pure un mini-tour di supporto agli Enslaved. Cosa dire, dunque, di questo importante rientro sulle scene? “Et Liber Eris” prosegue ‘semplicemente’ il longevo e fruttuoso cammino evolutivo di questi ragazzi, e soprattutto di questo musicista, Alessandro Castelli, che pian piano ha modellato il suo stile compositivo creando un qualcosa di non originalissimo e unico, d’accordo, ma che ha una sua ben precisa impronta e permette di riconoscere le sonorità Adimiron piuttosto in fretta. Enorme, a proposito, il lavoro di scrittura e arrangiamento delle parti chitarristiche: tracce su tracce registrate, in modo da donare al tutto una profondità spaventosa, tanto da farci venire d’obbligo qualche dubbio sulla riproposizione dal vivo di una tale abbondanza di riff, passaggi tortuosi, sovraincisioni, assoli e quant’altro. Si passa dal solito progressive-thrash ad un groove metal sui generis, dall’indole moderna e progressiva di qualche episodio alle reminiscenze post di qualche altro, per un risultato finale del tutto indefinibile eppur bellissimo: ci verrebbe quasi da esagerare, azzardando l’impressione che la band ora suoni come avrebbero potuto suonare gli Opeth senza la loro svolta (parzialmente rientrata) retrò e prog-rock. Brani ricchi e da scoprire attraverso ripetuti ascolti, ma che allo stesso tempo ci paiono diretti e immediati, capaci di colpire nel segno subito; intricati a tratti, ma sempre con dei particolari – una melodia vocale, un riff più quadrato, un chorus arioso, un arpeggio dolciastro – che ne alzano la fruibilità e l’appeal. Il nuovo cantante spazia con impressionante naturalezza da un pulito emozionale ed interpretativo ad uno scream-growl aggressivo e potente, davvero un ottimo acquisto per i nostri connazionali. Idem si può dire per Cecilia Nappo che, assieme a Maragoni, forma una sezione ritmica sempre presente e lasciata anche protagonista di momenti più individuali. Perfetto anche il minutaggio dell’album, con solo otto tracce presenti: compatto, un duro blocco di metallo tecnico, melodico e violento, che non si disperde in ghirigori e svolazzi inutili, bensì in grado di condensare tanti concetti e tantissime idee in quarantuno minuti appena: ed infatti è arduo non ripremere ‘play’ una volta giunti al termine della conclusiva “Zona Del Silencio”. Difficile estrapolare una manciata di canzoni migliori di altre da un platter formalmente perfetto, ma certo è che personalmente continuiamo ad ascoltare senza sosta il trittico centrale “The Coldwalker” / “As Long As It Takes” / “The Unsaid”, con la prima, brano più pacato del lotto, baciata da spezzoni musicali di classe pregevole, la seconda di un tiro micidiale e più vicino a quanto fatto in passato dai Nostri, la terza dotata di un ritornello da brividi. Se proprio vogliamo trovare un difetto a questo album, lo si può ravvisare in una lieve carenza d’atmosfera generale, forse anche dettata dalla produzione precisa e vagamente asettica, ma davvero si sta discutendo di futilità. Se non avete ancora avuto modo di apprezzare gli Adimiron in passato, dunque, forse è giunta proprio l’ora di farlo: siamo sicuri che quel tuffo in copertina sarà dolce e senza troppi spruzzi, non certo uno schianto sugli scogli. Ben fatto, ragazzi!