8.0
- Band: AETERNAM
- Durata: 00:44:45
- Disponibile dal: 27/03/2020
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Nessuno può negare la notevole popolarità di massa ottenuta in tempi recenti dal cosiddetto death metal sinfonico, con avanguardie del calibro di Septicflesh, Mayan, Ex Deo e soprattutto i nostrani Fleshgod Apocalypse. Una delle caratteristiche più apprezzabili di questo filone, ancora abbastanza giovane, riguarda sicuramente la non indifferente possibilità di interpretazione personale, nel momento in cui si dispone delle doti tecniche, teoriche e compositive per approcciarvisi; e non è infatti un caso che, all’interno del panorama, svariate formazioni minori abbiano trovato un proprio modo per provare a lanciare la propria creatura sul mercato. I canadesi Aeternam alcuni anni fa sono riusciti a stupire buona parte degli appassionati grazie alla loro particolare formula, perennemente orientata verso est: la musica nata dalla mente del frontman Achraf Loudiy e dei suoi soci prende infatti a piene mani da quanto fatto da colleghi illustri, per poi contaminare il tutto con un’imponente dose di composizioni ‘folk’ tipiche dei paesi mediorientali, e non solo.
Se tutti e tre gli album precedenti hanno messo discretamente d’accordo critica e pubblico riguardo la loro indiscutibile qualità e ispirazione, questo nuovo “Al Qassam” fa apparentemente lo stesso, pur adottando un approccio ancora più personale sotto diversi punti di vista: a partire da una copertina decisamente meno colorata e più cruenta rispetto ai predecessori, fino ad arrivare all’interessantissimo utilizzo di numerose parti cantate in lingua madre, come anticipato da una titletrack iniziale del tutto sprovvista di frasi in inglese, ma attenzione! Siamo solo all’inizio. Le sorprese arrivano immediatamente, con una “The Bringer Of Rain” molto più canonica, ma non per questo meno sorprendente, grazie al suo incedere distruttivo e micidiale, con delle connotazioni simili a quelle dei polacchi Behemoth, con in più una spruzzata di vaga italianità grazie al testo dedicato interamente al gladiatore ribelle Spartacus; aggiungete dei suggestivi inserti in voce pulita e delle melodie da pelle d’oca e avrete uno dei brani più efficaci del pacchetto.
Con “Lunar Ceremony” cambiamo direttamente genere, trattandosi di un brano mediamente lento e riflessivo, per giunta cantato interamente in clean vocal; più vicino allo stile degli Orphaned Land che a quello di una qualsiasi realtà estrema. Anche se si torna presto a suonare death in compagnia dei blast beat della smitragliante ed esplicita “Ithyphallic Spirits Of Procreation”, con la quale c’è davvero poco per cui rilassarsi, a differenza di una “Palmyra Scriptures” in cui l’elemento metal si estingue del tutto per lasciare posto ad un songwriting da ballad mediorientale degna di un tempio siriano. Rabbia e veemenza si ripresentano più forti che mai in “Hanan Pacha”, anche se il bridge acustico collocato a metà brano spezza la violenza con una classe e una devozione davvero rare, senza far sentire in qualche modo l’ascoltatore spaesato o fuori contesto.
Incredibilmente “Celestial Plains” si sposta ancora più in là fino a giungere in estremo Oriente, per raccontare la leggenda degli dei giapponesi Susanoo e Amaterasu, impegnati in un combattimento contro il drago a otto teste Orochi, sconfitto grazie alla spada Totsuka-no Tsurugi. Ovviamente anche il songwriting cambia radicalmente, proponendo degli inserti molto più in linea con la musica folk di quelle terre, abbinati ad un death metal epico ed evocativo.
La fase finale si compone della più breve ed immediata “Ascension”, nonché della lunga e progressiva “Poena Universi”, che mentre riecheggiano i cori modula tra fasi più cadenzate e altre infervorate al massimo, per chiudere in bellezza un’opera che mette in mostra tutte le doti artistiche di una formazione sottovalutata e colma di idee vincenti. Un disco che non annoia mai e che cambia continuamente le carte in tavola man mano che si prosegue con l’ascolto, confermandosi a parer nostro come il migliore mai composto dagli Aeternam; cui a questo punto vogliamo porgere tutti i nostri omaggi, sperando di poterli incontrare in tour appena questa sorta di piaga d’Egitto che stiamo vivendo avrà cessato di arrecarci problemi.