4.5
- Band: ÆVANGELIST
- Durata: 00:52:37
- Disponibile dal: 28/02/2020
- Etichetta:
- Hells Headbangers
Spotify:
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Il nome Ævangelist, fin quasi verso la fine del 2018 legato solamente a un’idea di musica contorta, cervellotica, disumana, diviene sul finire di quello stesso anno oggetto di una nient’affatto simpatica vicenda di violenze carnali, dove non si capisce bene chi abbia fatto cosa e quanto sia credibile l’intera faccenda. Un fatto del quale, passato poco tempo, tutti si scordano, senonché spalanca le porte allo split fra i due musicisti coinvolti nel progetto, Matron Thorn e Ascaris. Quel che accade nell’immediato futuro è il classico divorzio a piatti e pentole lanciate in faccia, al tempo dei social: da una parte, Matron Thorn, che come se nulla fosse dichiara di essere titolare del ‘marchio’ e dalla sua nuova terra d’adozione, la Finlandia, lancia orgogliosi proclami per annunciare la seconda vita degli Ævangelist; dall’altra, Ascaris, che al contrario ritiene morta e sepolta la band. A Matron Thorn si unisce l’ex cantante degli Anorexia Nervosa, Stéphane Gerbaud, col quale arrivano a inizio 2020 ben due nuovi lavori, “Dream An Evil Dream II” (ideale prosecuzione dell’EP extralarge “Dream An Evil Dream” del 2015) e il qui presente “Nightmarecatcher”, editi a poche settimane di distanza l’uno dall’altro. Purtroppo, “Nightmarecatcher” ci fa capire che Matron Thorn, avvolto nel suo sconcertante e granitico egocentrismo, preda della sua vanagloria ed ebbro dei suoi aggrovigliati concetti sonori, abbia completamente perso la bussola.
L’album è pensato come un’unica composizione, divisa in tre capitoli, nella quale far confluire le partiture più liquide, psichedeliche e stralunate dello stile Ævangelist. La dilatazione di spazi e tempi fa quasi completamente sparire i retaggi death metal, già smorzati negli ultimi lavori del 2018, a favore di un modo di suonare che già allora si protendeva verso un caos di ritmi sghembi e chitarre straziate oramai a stento inquadrabili nei generi tradizionali. La snervante introduzione di “I: The Origin and End of All: Pain of the Fallen”, per quasi metà abbandonata in un insalubre brodo di lente dissonanze picchiettate di sintetizzatori, diviene il primo scoglio sul quale va a schiantarsi la fruizione dell’album. Se anche si oltrepassassero, a fatica e con il dubbio non ne sia valsa la pena, questi primi minuti, quel che arriva dopo fa poco per dissipare le perplessità. Attraverso una produzione lo-fi, che affossa gli strumenti in un buco nero dove tutti i suoni si compenetrano e litigano gli uni contro gli altri, percepiamo gli sfoghi scriteriati di un musicista che si diverte a impilare eccentricità, in un marasma di soluzioni extreme metal che vorrebbero essere la nuova avanguardia del genere, ma si suicidano in un mare di inconcludenza.
Le singole linee di chitarra, basso, batteria, i synth, dicono di una mente brillante, ingegnosa, quale del resto non può non essere quella di Matron Thorn, se pensiamo al catalogo precedente del gruppo e alla miriade di altri suoi progetti paralleli: certo, non tutti riusciti o a fuoco nel loro rimestare, stirare, scomporre la materia estrema. Spesso, però, nell’apparente indecifrabilità della musica si comprendeva una linea guida, per contorta che fosse, e si poteva capire cosa comunicasse quella singola opera. Qua ci si perde, in una nebbia irritante, che solo a tratti fa intuire il potenziale del duo: la stessa voce di Gerbaud si dibatte in vocalizzi che appartengono più a una recitazione sconclusionata di brutture, piuttosto che a un vero cantato e, come per gli strumenti, si perde in una logorrea che solo saltuariamente colpisce nel segno. Non c’è struttura, non c’è sviluppo alcuno di una singola idea, vi è un’accozzaglia di stranezze fini a se stesse, modulate in registri che ciclicamente si ripetono e si inseguono, spesso a velocità ridotte, togliendo anche quei benedetti assalti dissoluti che avrebbero almeno concesso, qua e là, vigorose botte di vita. Il disco è lungo, denso, stratificato, ma non rimane nulla di significativo una volta che lo si è ascoltato, se non la sensazione, nient’affatto vaga, di aver perso tempo inutilmente. Solo per super die-hard fans di Matron Thorn e delle sue mille incarnazioni, gli altri stiano alla larga.