6.5
- Band: AHAB
- Durata: 01:03:57
- Disponibile dal: 26/06/2020
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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Discutibile release interlocutoria per i nautical doomster tedeschi Ahab, che rilasciano il loro primo live album a distanza di ben cinque anni dall’ultimo, apprezzato full, “The Boats Of The Glen Carrig”. Discutibile, sì, in quanto ripresentarsi sulle scene, dopo così tanto tempo, con un ‘semplice’ disco dal vivo forse non era la mossa più attesa dai tanti, affezionati fan del combo guidato dal biondo ed occhialuto Daniel Droste.
La performance che viene messa sotto i riflettori in questo “Live Prey” è quella del Death Row Fest 2017, tenutosi a Jena, nella vecchia Germania Est, dove l’ingegnere del suono del festival registrò l’esibizione dei quattro e passò loro poi una pennetta USB contenente il materiale. Da qui l’idea di ricavarne un album dal vivo, si voglia per la potenza e la pulizia della prova degli Ahab, si voglia anche per la qualità del materiale, totalmente incentrato su un disco che, superando la prova del tempo brillantemente, si è insignito valorosamente del titolo di classico moderno del funeral doom metal; ci riferiamo ovviamente al debutto del gruppo, quel “The Call Of The Wretched Sea” che ancora oggi ci catapulta nella tragica, paranoica lotta del capitano Achab contro la sua nemesi marina a nome Moby Dick.
Un album live, oggigiorno, sappiamo bene quanto lasci il tempo che trova, ma gli Ahab sono una formazione a cui piace essere e risultare anche un po’ retrò e per nulla timorosa di fare delle scelte che paiono vagamente anacronistiche. Basti osservare la copertina, minimale e molto ‘scarna’, per cogliere il senso di questa pubblicazione. La registrazione del concerto è bella grezza e ruvida, con tutti gli strumenti ottimamente udibili tra i solchi del lavoro ed un appeal certamente più live che da studio; l’unica pecca, anche piuttosto grave, a ben vedere, è la quasi totale assenza dell’interazione con il pubblico, lasciato indietro nel mixaggio e completamente silente quando le ondate doom si abbattono fragorose sull’ascoltatore. Così, tutto il feeling genuino e casereccio dei suoni perde molto del suo contesto originale, e ciò resta un difetto considerevole in termini di resa finale.
Per quanto riguarda i brani, be’…ci sono tutti i classici contenuti in “The Call Of The Wretched Sea”, proposto nella sua integralità ad eccezione di “The Sermon” e della strumentale “Of The Monstrous Pictures Of Whales”, ma una spanna su tutti si elevano i solenni “Old Thunder” e “The Hunt”, immortali nella loro oceanica profondità. Interessante, poi, l’uso che la band fa dal vivo di sintetizzatori, voci registrate e rumoristica varia, utile ad immergere ancor più il fruitore nell’atmosfera plumbea e malsana di un tomo abissale quale è “Moby Dick”.
Dunque critichiamo i Nostri, in parte, perché da loro ci aspetteremmo ora il quinto disco di inediti, considerato il lungo lasso di tempo trascorso senza nuova musica; però riusciamo anche ad apprezzare, senza strapparci i capelli, la sufficiente riuscita di “Live Prey”, che consigliamo solo ai loro supporter più accaniti. A tutti gli altri, un bel ripassino dell’intera discografia basta e avanza…