7.5
- Band: AHAB
- Durata: 01:01:03
- Disponibile dal: 25/05/2012
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
‘I’m Arthur Gordon Pym
or is he me?
Why is everything so grim?’
‘Moby Dick’ di Herman Melville per “The Call Of The Wretched Sea”. ‘Il Naufragio della Baleniera Essex’ di Owen Chase per “The Divinity Of Oceans”. E ora ‘Storia di Arthur Gordon Pym’ di Edgar Allan Poe per “The Giant”. Per capire pienamente il concept che si cela dietro il progetto doom metal Ahab è necessario non separare mai la musica contenuta nei loro dischi da tutto il resto che ruota attorno ad essa, ovvero testi, artwork e atmosfere, in quanto collegati strettamente fra loro e spesso imprescindibili uno dall’altro. Se si entra bene in quest’ottica, diventa facile capire anche l’evoluzione e il cambiamento che i dischi degli Ahab presentano di volta in volta: se il debutto era un epocale tomo di funeral doom metal cupo, riverberante ed oceanico, un po’ come lo è il capolavoro di Melville, ed il secondo platter un alternarsi tragico e drammatico di disperazione e umana violenza – il cannibalismo trattato nel libro di Chase è allo stesso tempo miserabile e comprensibile – in questo nuovo “The Giant” si respira a pieni, marci polmoni l’orrore psichedelico e il putridume innominato che Poe instilla nel suo scritto. A sentire le anticipazioni dell’album e a visionare lo splendido artwork, il timore che Daniel Droste e compari si fossero ingentiliti e consegnati ai Pink Floyd era più che vivido, così come il sospetto che gli Opeth di “Heritage” avessero potuto già generare dei seguaci. E invece, per fortuna, non è così! Bastano due attenti ascolti per accorgersi che “The Giant” è il terzo centro degli Ahab, capaci di mantenere una forte identità doom, pur cambiando di nuovo impostazione e ispirazione nel songwriting. L’approccio è innanzitutto più psichedelico e sì, anche orientato ai Seventies; ma i ragazzi sono bravissimi ad inglobare queste influenze nel loro estro compositivo, ad esempio riservando più spazio al drumming fantasioso e preziosissimo di Cornelius Althammer e non esagerando troppo con le lungaggini acustiche; il riffing è in parte cambiato e si è di nuovo rinnovato: non più abissale come nel primo episodio, non più death- e gothic-oriented come nel secondo, ma più melodico, sognante e acido, comunque preservante lo spirito doomish dell’opera; e con esso seguono a ruota le scelte di produzione, pulite e asciutte ma anche a tratti oppressive. E poi ci sono le voci di Droste, che in “The Giant” si ritrova a gestire diversi timbri, oltre ai soliti growl cavernosi e alle magistrali clean vocals: abbiamo un urlato stranissimo e sofferente, oppure un recitato quasi agonizzante, entrambi utilissimi ad ambientare meglio l’ascoltatore nelle plumbee parti della storia narrata. Nota di merito va anche alla scelta del guest vocalist, Herbrand Larsen degli Enslaved, letteralmente spettacolare nell’interpretazione di “Antarctica The Polymorphess” e “The Giant”. Sei pezzi per più di un’ora di musica, eppure stavolta possiamo dire con quasi certezza che ci troviamo davanti ad un lavoro accessibile – o perlomeno ascoltabile – a tutti, in quanto scorre via sciolto ed intrigante dalla traccia uno all’ultima. Ci sono ovviamente alti e bassi fra le ondate che si infrangono pesanti sulle vostre meningi, ma la compattezza di “The Giant” ci permette di considerarlo ancora una volta un piccolo, grande masterpiece. “Deliverance (Shouted At The Dead)”, ad una prima parte piuttosto canonica, fa rispondere una seconda sezione emozionante e melodica, che vi trasporterà lontano fra assoli onirici e voci commoventi; la già citata “Antarctica The Polymorphess” presenta il chorus più orecchiabile mai composto dagli Ahab, ma si tratta di una melodia decadente e depressa che pian piano si cementerà nel vostro cervelletto senza darvi scampo; “Further South” e “Aeons Elapse” impiegano più tempo per farsi piacere, ma soprattutto la seconda riserverà piacevoli sensazioni col proseguire degli ascolti; un pelo inferiore e anonima pare essere “Fathoms Deep Below”, ma sono quisquilie quando “The Giant” si chiude con l’epica title-track, un colosso pallido e sinistro, esattamente come le parole che chiudono l’epopea di Arthur Gordon Pym e il nuovo capitolo Ahab. Gruppo ormai imprescindibile in ambito doom metal e che ora – lo si spera ma non troppo – potrebbe davvero sfondare oltre la nicchia di misantropi malati e solitari che è solita inneggiarne le gesta. Bellissimo.
‘I prithee, please enfold me,
colossus pale and grim.
I reach you from Nantucket,
I’m Arthur Gordon Pym’.