8.0
- Band: AKURION
- Durata: 00:57:48
- Disponibile dal: 10/04/2020
- Etichetta:
- Redefining Darkness Records
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Il death metal come catarsi. Il flusso entro cui canalizzare dolori, lutti e perdite per ergersi al di sopra dei momenti bui e non soccombere al peso della vita. Uno strumento formidabile che, se affidato alle mani giuste, può diventare espressione di una creatività viscerale e intensissima. Le mani, nel caso del progetto Akurion, sono quelle di Mike DiSalvo (ex Cryptopsy), Rob Milley (Neuraxis), Tommy McKinnon (ex Augury) e Olivier Pinard (Cattle Decapitation, Cryptopsy), e in questa prima metà di 2020 si rendono artefici di un’opera destinata a far parlare di sé a lungo, vuoi per la suddetta line-up (comprendente la crema della scena canadese, con i contributi di Lord Worm e Luc Lemay a fungere da ulteriore motivo di attrattiva), vuoi per la straordinaria rilettura di un certo tipo di sonorità messa sul piatto. Amici, prima ancora che musicisti, dapprima riunitisi per celebrare il loro legame in una band libera da pressioni o impegni stringenti, e in un secondo momento – per un drammatico tiro della sorte – chiamati ad onorare la memoria di Gen DiSalvo, moglie del frontman prematuramente scomparsa all’età di quarantaquattro anni.
Da questi presupposti nasce “Come Forth to Me”, ossia uno dei dischi techno-death più avvincenti e personali ascoltati nell’ultimo periodo. Un monumento alla scuola nordamericana del genere che ammalia per l’ingegno del suo songwriting e colpisce al cuore per il sentimento e il trasporto insiti in ogni suo solco, in ogni suo anfratto. Otto brani che si snodano tumultuosi e fluidissimi fra tutti quegli elementi che abbiamo imparato a conoscere divorando i vecchi “Whisper Supremacy” e “And Then You’ll Beg” e che qui, immortalati da una registrazione live esemplare, vengono filtrati attraverso la lente di un’emotività preponderante; ci sono le velocità assassine, gli intrecci di chitarra/basso al limite del parossismo, i continui stacchi groovy e – naturalmente – la timbrica hardcoreggiante di DiSalvo, ma queste soluzioni ruotano scrupolosamente intorno al concetto di melodia, declinato a seconda dei casi in arpeggi struggenti, riff dal sapore malinconico e saltuari interventi di orchestrazioni, pianoforte e synth, per un risultato complessivo in grado di unire mirabilmente virtuosismo e sentimento, eleganza e potenza.
Un po’ come accaduto in altri ambiti con gli Hail of Bullets, i Nostri dimostrano che non tutte le ‘all star’ band sono la mera somma delle parti che le compongono, lasciandosi alle spalle la zona comfort per abbracciare una dimensione ultraprogressiva fatta di episodi poliedrici e lunghissimi, in cui la materia death metal si scompone e ricompone in forme sempre più mirabili. In fondo, davanti a pezzi come “Leave Them Scars”, “Petals from a Rose Eventually Wither to Black”, “Yet Ye See Them” o “Souvenir Gardens” non resta che applaudire e prostrarsi, mentre lo spirito cade in uno stato di agitazione febbrile che ci ricorda come mai amiamo tanto questo tipo di musica. Un tumulto che sa di rinascita.