7.5
- Band: ALCEST
- Durata: 00:50:24
- Disponibile dal: 09/01/2012
- Etichetta:
- Prophecy Productions
- Distributore: Audioglobe
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Neige si conferma uno dei compositori più riconoscibili del momento, nonostante un disco – questo nuovo “Les Voyages De L’Âme” – che propone il Nostro in una veste un po’ più “pop” e lineare rispetto alle sortite precedenti, impegnato in un viaggio che cerca in parte di svincolarsi dall’avantgarde metal di “Écailles De Lune” o dallo shoegaze in chiave bucolica di “Souvenirs…”, per arrivare ad una sorta di “cantautorato metal” sui generis. Ormai sempre più vicini a quella “malinconia euforica” di Novembre e primi Klimt 1918 (o anche di alcune cose dei connazionali Les Discrets) che alla gravità di Ulver d’annata et similia, Neige e i suoi Alcest, per ora, sono comunque gli unici in grado di maneggiare certi umori con credibilità: ogni tanto forse si prendono troppo sul serio e scadono in un’ampollosità che inizia a essere un po’ stucchevole (vedi i continui rimandi a questa presunta realtà parallela con cui Neige sostiene di essere stato in contatto da bambino), ma restano musicisti dalla grande personalità, che il più delle volte riescono a concepire e a condurre un brano con una classe senza pari. L’iniziale, “novembrina”, “Autre Temps” lascia invero un po’ interdetti col suo andamento prevalentemente timido e interlocutorio, ma basta schiudere la successiva “Là Où Naissent Les Couleurs Nouvelles” per ritrovare la consueta, seducente, armonia di casa Alcest, dove metal, post rock e folk si rincorrono per poi abbracciarsi e scambiarsi vicendevolmente effusioni. Suggestioni individuabili in tanti altri episodi di “Les Voyages De L’Âme”, ma che vengono sublimati alla perfezione anche e soprattutto nella conclusiva, magnifica, “Summer’s Glory”, che già dai primi ascolti pare ricordare una versione più elettrica della vecchia “Ciel Errant”. Come accennato, in questa nuova opera si ravvisa una linearità maggiormente pronunciata, che si traduce in pezzi generalmente meno sfarzosi del solito, tuttavia non viene quasi mai meno quell’ormai familiare tono tra il malinconico e l’incantato che da sempre bacia le melodie del gruppo, così come l’incedere a tratti ondivago, ricco e allo stesso tempo essenziale, costruito dalle variegate sfumature delle chitarre, dall’eleganza della sezione ritmica e da varie tastiere di sottofondo. Sempre, ovviamente, sul filo di una leggera calma, come se il tutto avesse appunto una componente di irrealtà e provenisse da un altrove vicino ma impalpabile. Gli Alcest, insomma, non stupiscono più come una volta, ma, in un periodo in cui in certi ambienti musicali la sperimentazione ad ogni costo sembra essere la caotica via verso cui dirigersi, fermarsi un attimo a respirare in zone confortevoli ed accoglienti come quelle in oggetto è per noi un’occorrenza piacevole.