8.0
- Band: ALEAH
- Durata: 01:25:57
- Disponibile dal: 03/07/2020
- Etichetta:
- Svart Records
- Distributore: Audioglobe
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Juha Raivio e Aleah Starbridge erano legati tra loro non solo artisticamente, grazie al progetto Trees Of Eternity, ma erano anche compagni di vita. Quando il cancro ha privato il mondo della luce di Aleah, Juha ha fatto una promessa, quella di continuare a far risplendere quella luce, portando avanti la memoria della sua amata, rendendola immortale nella sua musica e nelle sue parole. Dopo la pubblicazione di “Hour Of The Nightingale”, Juha ha continuato a lavorare instancabilmente, in un percorso che è al tempo stesso elaborazione di un lutto e continua manifestazione di amore verso la donna scomparsa. In questi quattro anni, Juha ha registrato un album con il monicker Hallatar, in cui mette in musica testi e parole scritte da Aleah; ha pubblicato un nuovo capitolo dei suoi Swallow The Sun, e oggi riesce finalmente a consegnarci quello che doveva essere il primo album solista di Aleah.
Normalmente il nostro compito ci porta ad analizzare, a razionalizzare ciò che ascoltiamo, cercando di darne coordinate chiare, ragionando su componenti anche formali, come arrangiamento, composizione e produzione. Se, però, volessimo applicare lo stesso metodo per la recensione di “Aleah”, faremmo un duplice errore: in primo luogo perchè ci troviamo di fronte ad un’opera talmente intima, talmente personale, che qualunque tentativo di valutazione razionale sarebbe quasi irrispettosa; oltre a questo, poi, bisogna tenere conto di come questo disco sia rimasto fondamentalmente incompiuto, e non sapremo mai davvero quale forma avrebbe preso se fosse stato completato direttamente dalla sua autrice. Quello che abbiamo tra le mani, invece, è un doppio album che contiene al suo interno due diverse anime, entrambe fragili e bellissime, pur nella loro diversità. Il primo disco, infatti, contiene una selezione di canzoni realizzate semplicemente con la voce di Aleah accompagnata da una chitarra acustica: non abbiamo a disposizione molti dettagli, quindi non siamo in grado di dire se queste fossero delle versioni demo o se questa veste minimale fosse intenzionale (tendenzialmente dopo un attento ascolto propenderemmo per la prima ipotesi). Le canzoni in questa forma diventano evanescenti, appena sussurrate, con la chitarra che rimane sempre in secondo piano, poco più di una traccia ritmica su cui si poggia la voce angelica di Aleah. Svuotate di ogni forma e orpello, le composizioni trovano la loro purezza, la loro vera essenza, in un cullare ipnotico, che lascia l’ascoltatore sospeso in un non-luogo, luminoso e malinconico al tempo stesso.
Non meno emozionante anche il secondo disco, composto da sei tracce, in parte già ascoltate nella loro versione acustica, questa volta rivestite da un arrangiamento completo ad opera di Juha. Anche in questo caso non siamo in grado di raccontarvi l’esatta genesi delle canzoni: supponiamo che Juha abbia preso la voce originale di Aleah e abbia costruito attorno ad essa la musica, seguendo il più possibile l’intenzione originale dell’opera della cantante. Se il primo disco, dunque, era l’opera di Aleah nella sua totale ed incondizionata purezza, quello che possiamo ascoltare qui, invece, sono due anime che tornano a fondersi, in un abbraccio che parla di perdita, di nostalgia e di cose perdute. Juha raccoglie la voce delicata di Aleah e la custodisce come una reliquia: le canzoni procedono spesso con una lenta stratificazione, con gli strumenti che si appoggiano tra loro per sorreggere la melodia portante. Nessuna traccia di metallo pesante, Juha sceglie per Aleah un mondo fatto di tastiere liquide, ritmiche centellinate, che sembrano solo seguire il battere di un cuore, e soprattutto una curatissima veste orchestrale, che trova negli archi il perfetto accompagnamento alla voce di Aleah. Difficile scegliere un brano rispetto ad un altro, ma se proprio dovessimo farlo opteremmo per “The Tower” e, soprattutto, “My Will”, i due brani che, a nostro parere, traggono il massimo vantaggio possibile dalla musicalità di Juha, a volte talmente attento a non sovrastare mai la voce di Aleah da risultare perfino troppo prudente.
Qualcuno potrebbe obiettare come questo lavoro non sia totalmente esente da difetti, alcuni legati proprio al suo essere postumo, ma per una volta non vogliamo fissarci su questi aspetti formali: Juha Raivio sta portando avanti la memoria di Aleah con amore, rispetto ed una dedizione che hanno del commovente e per questo non possiamo che essergliene grati.