6.5
- Band: ALESTORM
- Durata: 00:46:54
- Disponibile dal: 26/05/2017
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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La vita da pirata dev’essere stata veramente dura: ogni giorno non si poteva sapere se il tuo compagno sarebbe sopravvissuto al prossimo arrembaggio e se questo si sarebbe concluso con una vittoria o con tutta la ciurma appesa ad una forca. Ma come siano spariti i baldi compagni di viaggio di Chris Bowes, che nel giro di una manciata di dischi è rimasto ormai l’unico della formazione originale degli Alestorm, non ci è dato saperlo. L’ultimo ad essere dato in pasto agli squali dal galeone della band scozzese, infatti, è stato il bravissimo Dani Evans, membro storico della band che ha ceduto il posto all’ungherese Máté Bodor. È in questo contesto che nasce “No Grave But The Sea”, ultima fatica del combo che se non si discosta molto dal precedente “Sunset On The Golden Age” per quanto riguarda le sonorità, risente di un complessivo calo di qualità. Questo album, infatti, sembra fatto apposta per essere messo in macchina a palla mentre si va in spiaggia con gli amici per bere rum fino a scoppiare. Non che la cosa non sia una prospettiva allettante, visto che tutti gli album degli Alestorm sembrano scritti apposta per il campeggio alcolico: il problema è che i nostri pirati preferiti ci hanno sempre abituati ad avere un lato power alternato a canzoni più folkeggianti, che qui fatica ad emergere se non per la titletrack ed un altro paio di pezzi. “Alestorm” (con quella terribile e forzatissima voce metalcore) e “Mexico”, le prime due canzoni presentate tramite video al pubblico, non erano particolarmente esaltanti a meno di non essere fan sfegatati della band, orientate com’erano sul carattere scherzoso del combo. Da qui a rischiare la ‘sindrome dei Korpiklaani’ (ovvero quella di continuare a ripetersi e diventare un po’ la parodia di se stessi) il passo poteva essere brevissimo; fortunatamente però i due pezzi non sono specchio di come è tutto il disco perché, come scritto poco sopra, non mancano momenti ‘alla Pirati Dei Caraibi’. A salvare la situazione ci sono infatti “To The End Of The World”, “Man The Pumps” e la finale “Treasure Island” che risollevano quello che poteva rischiare di diventare un disco con veramente poco contenuto. Il problema è che cominciano a scarseggiare le idee che hanno fatto grandi gli Alestorm dei primi dischi: è vero che non si può parlare di molte cose facendo power metal a tema piratesco, ma c’è modo e modo di dirle. Proviamo solo a mettere a confronto “Nancy The Tavern Wench”, dal primo album, con “Bar Und Imbiss”, due pezzi negli intenti abbastanza simili: mentre la prima è una fotografia da film di una taverna piratesca, la seconda sembra un pezzo da Oktoberfest con gente sbronza marcia che non capisce nemmeno dove si trova. L’impressione è proprio quella che gli Alestorm stiano piano piano perdendo quella vena fiabesca e avventurosa in favore di una trasformazione verso il solito ‘gruppo folk metal da Summer Breeze’. Tutto sommato la cosa non è così negativa: il disco piacerà sicuramente a chi ama il folk ad alte gradazioni alcoliche. Anche “Fucked With An Anchor”, nel suo essere una canzone completamente goliardica, alla fine non è da buttare e diventa un inno al ‘lasciami fare in pace quel che mi pare’. Ma quanti gruppi su questa scia abbiamo visto sfornare disconi per poi andare a perdersi nel nulla? Dobbiamo citare gli Equilibrium? I già nominati Korpiklaani (che fortunatamente con l’ultimo hanno reimboccato la vecchia via)? Dispiace vedere che anche gli Alestorm si stiano facendo tentare dal lato oscuro del folk metal tutto alcool e casino: speriamo che questo “No Grave But The Sea” sia solo il prodotto dell’hangover dell’album precedente e che si torni presto a parlare di imprese epiche contro kraken e altre amenità marittime, piuttosto che di quanto sia bello andare in Messico a spendere tutto il bottino conquistato non si sa bene come.