7.5
- Band: ALEXISONFIRE
- Durata: 00:50:09
- Disponibile dal: 24/06/2022
- Etichetta:
- Dine Alone Records
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Nel primo decennio degli anni 2000 gli Alexisonfire hanno avuto un ruolo importante nel rendere l’hardcore musica malleabile e per le masse. Nel gioco di contrasti tra irruenza e gentilezza hanno saputo coniugare l’impeto del punk, pressanti sfumature emo, sperimentazione e un lirismo toccante, sfornando in serie quattro album dal comparto di idee sempre più ricco e sfaccettato. Un’evoluzione costante e baciata da crescente ispirazione, culminante con lo spumeggiante traboccare di hit di “Old Crows/Young Cardinals”. Era il 2009 e si percepiva chiaramente come la band stesse stretta nei recenti dell’hardcore e fosse aperta a una miriade di influenze, con una sensibilità per il pop maturo e le interpretazioni ‘cantautorali’ applicate al post-hardcore/screamo abbastanza pronunciata. Di lì a qualche anno sarebbe arrivato lo split, nemmeno durato granché a dirla tutta, dato che l’annuncio della rottura sarebbe arrivato ad agosto 2011 e già a marzo 2015 sarebbe stato annunciato un reunion tour. Nel frattempo i membri del gruppo, rientrati tutti felicemente in line-up per la reunion, si sono dedicati ad altro, con particolare menzione per il cantante in pulito/chitarrista Dallas Green e il suo progetto folk/cantautorale City And Colour e l’altro chitarrista/cantante Wade MacNeil, singer dal 2012 della nota hardcore band Gallows, in sostituzione del carismatico Frank Carter.
Dopo qualche annata contraddistinta da apparizioni live limitate solo ad alcuni paesi, ecco l’annuncio di un nuovo album, il qui presente “Otherness”. Un disco che risente indubbiamente di un cambio di visione generale nell’approccio alla musica, di un peso inferiore dato all’urgenza espressiva dell’apparato punk e hardcore di partenza e l’apertura a suoni rilassati e sognanti, andando in questo modo a concatenarsi direttamente al lavoro compiuto da Dallas Green coi City And Colour. In effetti, ascoltando “Otherness”, sia distrattamente che andando nei dettagli, si desumerebbe che sia il membro da sempre portatore di leggerezza nel sound dei canadesi, ad aver influito maggiormente sull’esito finale dell’album. La rutilante veemenza dei dischi precedenti compare in poche tracce, e quando lo fa è comunque declinata da un approccio meno funambolico ed esagitato, mentre le sfumature sonore e i registri ritmici si vanno ampliando e incorporano elementi prima toccati solo marginalmente. Comprensibile lo spiazzamento dei fan, per composizioni abbondanti di melodie sospese, sintetizzatori, un distendersi avvolgente e un intersecarsi delle tre voci che c’entra poco con quanto fatto in passato, teso a una particolare forma di coralità, a un’interpretazione sentita e a volte sofferta delle liriche.
I registri emotivi evocati dal gruppo si sono ampliati, basta sentire l’una dietro l’altra “Committed To The Con” e “Sweet Dreams Of Otherness”, facendosi soggiogare dalle loro armonie malinconiche, in un alternarsi di vuoti e pieni dove l’ardore di stempera e le chitarre si ingrossano e allargano verso la soavità, lambendo il dreampop. La grinta delle voci pulite bilancia un suono cristallino e dettagliato, molto potente e definito, con la sezione ritmica impegnata su pattern abbastanza lineari ma per nulla banali. Ci sono molta calma e raccoglimento in “Otherness”, la band non si fa problemi a staccare la spina e destreggiarsi in brillanti partiture acustiche, come quelle di “Sans Soleil” e “Mistaken Information”, che mettono in mostra tutta la meticolosa delicatezza degli intrecci vocali. I toni tenui e la morbidezza strumentale sono il filo rosso che unisce la parte preponderante della tracklist, languida eppure sempre espressiva, in refrain controllati ma di impatto, forti di una profondità e un’intensità emotiva non dimentica di quella espressa negli album precedenti. Lasciano un segno in questo senso “Blue Spade” e i vibranti crescendo di “Dark Night Of The Soul”, con quest’ultima a fungere da ideale ponte tra la prima fase di carriera e la dimensione attuale, grazie ai piccoli scatti hardcore che fanno da contraltare a prolungate digressioni ammalianti e un ritornello gonfio di pathos.
Riportandosi sul fronte hardcore/screamo, gli Alexisonfire dimostrano di saperci ancora fare parecchio, confezionando brani ficcanti e dai cangianti cromatismi, complice anche un ottimo uso dei sintetizzatori; “Conditional Love”, “Survivor’s Guilt”, “Reverse The Curse” colpiscono forte ed emozionano, insieme fragorose, suadenti e leggiadre. Inevitabile in ogni caso lo smarrimento di chi li segue da sempre, abituato, pur nei cambiamenti, ad aspettarsi una certa impronta stilistica; l’invito è di non fermarsi ai primi ascolti ma approfondire i contenuti del disco, all’altezza della fama di questi musicisti, ancora vitali nelle loro espressioni artistiche e desiderosi di dare ancora slancio al nome Alexisonfire.