7.0
- Band: ALFONSO CORACE
- Durata: 00:44:40
- Disponibile dal: 18/09/2020
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Alfonso Corace è un polistrumentista che ha prestato le sue notevoli abilità a diverse realtà italiane come Airlines Of Terror, 3rd Room, Lunarsea e Vidharr. Oggi, invece, parliamo di Corace in un’inedita veste solista, che lo vede comporre e registrare praticamente in solitaria un album che raccoglie tutte quelle influenze che il musicista non ha potuto esprimere pienamente all’interno delle sue altre collaborazioni. L’unico aiuto, in “Fo’s Room”, arriva da alcuni amici e colleghi: parliamo di nomi ben noti, come l’ex Novembre Giuseppe Orlando, qui in veste di consigliere (o ‘co-pilota’, come dice lo stesso Alfonso), oppure Elisabetta Marchetti degli Inno, che regala un’ottima interpretazione su uno dei brani migliori del lotto, intitolato “Healing”. Cosa troverà, quindi, l’ascoltatore in “Fo’s Room”? Non delle canzoni immediatamente e facilmente catalogabili, questo è certo. Corace raccoglie una materia prima malinconica e umbratile, che si nutre di Paradise Lost, dei Katatonia di fine anni Novanta, ma senza abbandonarsi alla medesima disperazione; su di essa appoggia un buon gusto melodico, con linee pulite, coinvolgenti; infine caratterizza il tutto con le linee vocali sintetiche, filtrate quasi sempre dal vocoder, che rimandano ad influenze lontane dal mondo metallico, come Air o Daft Punk. Quest’ultimo tratto, in particolare, diventa la caratterizzazione più evidente dell’intero lavoro, un marchio di fabbrica che, da una parte, rappresenta un segno di rottura rispetto a molte altre produzioni e, dall’altra, risulta essere anche l’ostacolo più impegnativo per una piena fruizione del disco. I brani di Corace sono introspettivi ed intimi, cosa evidente fin dal titolo dell’album (‘Fo’ non è altro che lo pseudonimo di Alfonso) e l’uso del vocoder si innesta con facilità in una trama strumentale che ha il sapore del flusso di coscienza. La resa, da un punto di vista atmosferico e assicurata, ma è anche vero che l’ascoltatore esterno, nell’immergersi in questa corrente emotiva, si trova privato di quell’appiglio che una linea vocale più tradizionale avrebbe garantito. La cosa appare evidente, appunto, nel brano cantato da Elisabetta Marchetti, che sintetizza al meglio le potenzialità di una soluzione più classica. Superata questa difficoltà, però, quello che rimane è un lavoro curato, suonato e prodotto in maniera più che professionale e ricco di spunti che necessitano solo di trovare il giusto equilibrio. Siamo sicuri che, se Alfonso Corace vorrà continuare a portare avanti questo suo percorso solista , magari con qualche collaboratore in più a dare una maggiore varietà alle parti vocali, saprà certamente sfruttare al meglio l’esperienza maturata con questa opera prima, regalandoci un lavoro di grande spessore.