8.5
- Band: ALICE COOPER
- Durata: 00:47:58
- Disponibile dal: 06/06/2000
- Etichetta:
- Spitfire Records
Spotify:
Apple Music:
Un guanto di sfida lanciato alle nuove generazioni, la voglia di riaffermare il proprio ruolo anche dopo trent’anni di carriera e, soprattutto, la consapevolezza di vivere in un mondo sempre più spietato, dove i veri mostri sono quelli portati in scena dagli organi di informazione e non quelli di cartapesta dei film dell’orrore degli anni Ottanta. Tutti questi elementi concorrono alla nascita di “Brutal Planet”, ma al momento della sua pubblicazione nessuno si aspettava una tale zampata dal buon vecchio Alice. Per il suo ritorno sulle scene Alice forma una band con nomi poco noti, tra cui spiccano Ryan Roxie, che diventerà uno dei suoi collaboratori più fidati, ed Eric Singer alla batteria. Il sound viene curato da Bob Marlette (co-autore di gran parte dei brani), che ha recentemente collaborato con i Black Sabbath, ma nei crediti dell’album compare comunque il nome di Bob Ezrin, chiamato ad aiutare nel dare una nuova direzione credibile e moderna al suo vecchio amico.
“Brutal Planet” è un album oscuro e bellissimo, che proietta Alice Cooper nel nuovo millennio, adattandolo ai tempi senza per questo andare a snaturarlo in maniera compromettente. Certo, l’hard rock lascia il passo ad un muro saturo di chitarre e suoni cupi, ma l’impronta di Alice è ancora ben presente. Ancora una volta il cantante si occupa di chi vive ai margini della società, raccontando di personaggi sociopatici, violenti, perfettamente calati in quel ‘pianeta brutale’ che sembra essere completamente impazzito. Alice mette in guardia l’ascoltatore, ma non lo fa dal pulpito di chi vuole giudicare, ma come sempre sfruttando l’ironia, vestendo i panni dei suoi personaggi per mostrarne debolezze e incongruenze. Questa volta non ci sono fiati e vezzi orchestrali, quasi inesistenti gli assoli di chitarra, solo dieci pugni nello stomaco. Brani come “Wicked Young Man” e la titletrack possono considerarsi al livello dei grandi classici; il singolo “Gimme” ci riporta alle tematiche di “The Last Temptation” con una citazione diretta di “Nothing’s Free”; “Sanctuary” è un mastodonte che corre a testa bassa per travolgere qualunque cosa, mentre “Blow Me A Kiss” ci regala anche grandi melodie che, comunque, sono ben presenti per tutta la durata dell’album. L’unica concessione per tirare il fiato è la ballad “Take It Like A Woman”, un tradizione che Alice non vuole abbandonare nemmeno in questo suo viaggio oscuro e spietato. E se ancora ci fosse qualche dubbio circa la volontà di rivalsa verso il nemico/collega Marilyn Manson, ci pensa “Cold Machines” a fugare ogni dubbio, con un brano che è praticamente la risposta di Alice alla celeberrima “The Beautiful People”. Ora non saremo noi a decretare vinti e vincitori in una competizione vecchia di vent’anni, ma una cosa possiamo dirla senza timore di essere smentiti: se Alice Cooper voleva dimostrare di essere ancora in grado di tenere il passo delle nuove generazioni metalliche, “Brutal Planet” non poteva darne una prova migliore.