7.5
- Band: ALICE COOPER
- Durata: 00:47.05
- Disponibile dal: 26/02/2021
- Etichetta:
- earMusic
- Distributore: Edel
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Era inevitabile che il viaggio a ritroso nel tempo intrapreso da Alice Cooper più di quindici anni fa lo portasse finalmente a casa, alla sua Detroit. Il cantante aveva già abbracciato le sue origini con il precedente album in studio, “Paranormal”, dove aveva riscoperto quella libertà stilistica che lo aveva contraddistinto negli anni Settanta, e che l’aveva visto protagonista di un tuffo ancora più indietro fino agli anni Sessanta, il decennio che aveva rapito il giovane Vincent Furnier e l’aveva consacrato al sacro fuoco del rock. Oggi Alice di anni ne ha ben settantatré, ma non ha smesso di alimentare quella fiamma e, anzi, con il nuovo lavoro il cantante scrive un’accorata e vibrante dichiarazione d’amore verso la sua città natale, Detroit: una città dura, perno dell’industria automobilistica, concreta, di gente che si spacca la schiena, eppure al tempo stesso culla di tante correnti musicali. È la città che ha visto nascere il fenomeno di Alice Cooper, certo, ma anche degli MC5, degli Stooges, dei Grand Funk Railroad: si picchiava duro a Detroit ed Alice decide di portarci oggi a fare un tuffo in quel sound, accompagnato ancora una volta dal produttore Bob Ezrin e da un manipolo di figure di spicco provenienti dalla stessa città, come Wayne Kramer degli MC5, Johnny ‘Bee’ Badanjek (batterista dei Detroit Wheels) e il bassista Paul Randolph.
“Detroit Stories”, dunque, è un lavoro perfettamente in linea con queste premesse: duro, grezzo, rugoso come solo la vecchia scuola sa fare e al tempo stesso, sotto la superficie apparentemente grigia e arida, colorato, cangiante e pieno di vita. Nell’album troverete ben quindici canzoni, tra cover, nuove edizioni di brani già editi e novità assolute, e ciascuna di esse rappresenta uno degli stili che si potevano ascoltare in qualche locale fumoso della gioventù di Alice. Ci sono pezzi hard rock, che abbracciano ora il garage rock, ora il punk più sguaiato, come “Go Man Go”, “I Hate You”, o “Shut Up And Rock”; troverete ottime cover, come “Rock ‘n’ Roll” dei Velvet Underground, o “Sister Anne” degli MC5 rilette con il classico stile graffiante di Alice; ma non mancheranno anche episodi lontanissimi dagli stilemi che hanno reso celebre il cantante. Pensiamo ad esempio a “Drunk And In Love”, un vero e proprio blues, lamentoso e disperato come da manuale; o “Independence Dave”, che definiremmo quasi un pezzo psychobilly, a cavallo tra punk e rock ‘n’ roll anni Cinquanta, o ancora “$1000 High Heel Shoes”, un omaggio all’altra fondamentale scena originaria di Detroit, quella nata intorno alla Motown Records. E, infine, come non citare le meravigliose influenze beat di “Our Love Will Change The World”, un piccolo gioiello in cui, come da tradizione, troviamo Alice a mescolare bianco e nero, in una sfumatura che sa al tempo stesso di speranza e cinismo.
Qualcuno potrebbe rimanere spiazzato da una selezione così variegata di canzoni, ma “Detroit Stories” è un album credibile, coerente con la discografia di Alice, per certi versi molto più di altri album che hanno portato al cantante soldi e fama. È un lavoro vecchio stile, perché comunque realizzato da un manipolo di musicisti dal volto segnato dall’età, ma non per questo sterile e nostalgico. Al contrario, “Detroit Stories” è una fotografia perfetta della grandezza di Alice Cooper, perché le sue canzoni indosseranno anche gli abiti più disparati, accostando una camicia a fiori ad un giubbotto di pelle, un cappellaccio da cowboy alle frangette alla Beatles, ma una cosa è certa: qualunque abito decidano di indossare, tutte le sue canzoni avranno sempre quegli indelebili e penetranti occhi cerchiati di nero.
