7.5
- Band: ALICE COOPER
- Durata: 00:47:43
- Disponibile dal: 25/08/2023
- Etichetta:
- earMusic
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Se prendiamo in esame quest’ultima parte della carriera di Alice Cooper, quella segnata dal ritorno in consolle di Bob Ezrin, emerge una curiosa contrapposizione. A fronte di una line-up dal vivo consolidata, efficace e potente, la produzione discografica recente di Alice ha visto il cantante avvalersi sempre di un team di autori, musicisti e ospiti, che hanno un po’ adombrato la band che condivideva il palco con lui (con la sola eccezione di Tommy Henriksen). Eppure, musicisti come Chuck Garric e Ryan Roxie, in passato, avevano firmato diversi pezzi, all’epoca di “The Eyes Of Alice Cooper” e “Dirty Diamonds”, e la stessa Nita Strauss oggi può vantare una carriera parallela solista, magari non stratosferica, ma comunque solida. Per fortuna arriva “Road” a sanare questa spaccatura, con un album interamente dedicato alla vita on the road che vede la band molto più coinvolta anche nella scrittura dei brani.
Dopo la svolta garage di “Detroit Stories”, dunque, come suona questo nuovo capitolo della vita discografica di Alice? L’esperienza di ascolto – non vi stupirà – diventa molto più simile a quanto abbiamo potuto vivere di persona nel corso degli ultimi tour di Alice. Le radici sono ancora quelle degli anni Settanta e non c’è quasi nulla di accostabile alla decade successiva, ma il sound generale dell’album risulta comunque più robusto e metallico, soprattutto grazie alla chitarra di Nita Strauss, meno funambolica rispetto alle esibizioni dal vivo, ma comunque molto presente.
Alice, da parte sua, mette tutta la sua esperienza di vita al servizio del concept dell’album, realizzando un meraviglioso ritratto della quotidianità dei musicisti in tour, cercando assieme a Bob Ezrin il vestito musicale migliore per accompagnare ogni singola scena. Così abbiamo i primi due brani, “I’m Alice” e “Welcome To The Show”, a fare le presentazioni del caso, con un Alice fiero e ironico a prendersi il giusto merito dopo una vita passata a macinare centinaia di palchi. ” All Over The World” rispolvera il meglio delle sonorità degli anni Settanta, con tanto di fiati ed una citazione nemmeno troppo velata di “I’m Eighteen”, mentre “Dead Don’t Dance” recupera l’anima più metal della sua discografia, complice anche la presenza di Kane Roberts, il John Rambo della chitarra anni Ottanta che aveva contribuito alla rinascita di Alice all’epoca di “Constrictor”. A proposito di ospiti, non possiamo non citare Tom Morello, che rafforza l’ottima “White Line Frankenstein”, mentre “Go Away”, con il suo hard rock di strada, sporco e polveroso, ci ha ricordato quella “Woman Of Mass Destruction” che avevamo amato all’epoca di “Dirty Diamonds”.
Non c’è un aspetto della vita on the road che non venga raccontato da Alice, con il suo sguardo sardonico eppure sempre lucido, come in “Rules Of The Road”, un gioiello scritto assieme a Wayne Kramer, che costituisce un pratico manuale di vita firmato da uno che di certo non ha nulla da farsi insegnare in termini di eccessi. A volte Alice si sofferma su temi molto seri, come nel caso di “The Big Goodbye”, che racconta di come la carriera di un musicista sia talvolta così totalizzante da avvelenare qualunque relazione; altre volte, invece, sono gli aspetti più giocosi a prendere il sopravvento, raccontando ad esempio di quelle caffetterie che si incontrano sulle strade d’America, dove capita di imbattersi in una cameriera con un gran bel paio di… stivali (“Big Boots”). Naturalmente non poteva mancare un omaggio alla categoria dei roadies, omaggiati in “Road Rats Forever”, un brano scritto assieme a Dick Wagner, che ci riporta alle sonorità più rock di “Welcome To My Nightmare”; così come una buona vecchia ballata d’altri tempi, “Please Don’t Go”, che senza raggiungere le vette di certi capolavori di Alice, ci dà una strizzata prima del finale, affidato ad una cover degli Who, “Magic Bus”, perfettamente inserita nel concept dell’album.
Molti artisti, con il passare del tempo, si ritrovano a diradare le proprie uscite, preferendo ad esse una costante attività live. Alice Cooper, invece, appartiene a quella piccola schiera di musicisti che sembra aver sviluppato un’inaspettata nuova ispirazione, un’urgenza che permette loro di essere ancora credibili, di avere qualcosa da dire anche in studio, senza voler competere con le nuove leve, ma con la libertà di chi non ha più bisogno di scendere a patti con pubblico, industria e portafogli. “Road”, a dispetto di un primo singolo così apparentemente autocelebrativo, vede il suo protagonista quasi fare un passo indietro, in modo che la musica non racconti le gesta di una rockstar ultra-settantenne, bensì la vita di una band, una come tante, senza nome, le cui vicende sono sempre diverse, eppure così simili tra loro, unite da un filo conduttore fatto di chilometri e chilometri di strade tutte uguali, in cui l’alba e l’imbrunire si confondono, fino ad essere indistinguibili tra loro.