8.0
- Band: ALICE IN CHAINS
- Durata: 00.53.18
- Disponibile dal: 24/08/2018
- Etichetta:
- BMG
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Nel 2018 gli Alice In Chains sono una formazione entrata nella leggenda: graziati nell’allineamento dei pianeti che ha permesso loro di trovare William DuVall, seconda chance personificata con una voce che si fonde perfettamente a quella di Jerry Cantrell, sono il nome che presenzia stabilmente negli slot da headliner dei festival statunitensi, allo stesso tempo nome storico dell’alt-rock americano e sensation contemporanea da pesanti rotazioni radiofoniche. Con l’estrema accortezza che ha segnato il percorso della band post-reunion il quintetto multiplatino pubblica quest’anno il sesto album in studio, atteso euforicamente come un’omaggio a Seattle (il monte Rainier è un vulcano dormiente vicino alla metropoli) e (parzialmente) immortalato negli Studio X dove la band registrò il ‘self-titled’ nel 1995. Come sempre accade quando una grave perdita segna il percorso di una band è necessario accettare il cambiamento per poter apprezzare appieno una proposta per forza di cose diversa: gli AIC mantengono la propria identità ma incorporano una differente entità, sono persone mature, sobrie e, a volte, timidamente ottimiste. “Rainier Fog” eccelle nell’essere un lavoro emozionante e raffinato come solo i mostri sacri oggi si possono permettere, totalmente privi dalle restrizioni economiche e temporali che assillano gli artisti del post-digital. Fiore all’occhiello il pesante sludge della memorabile “The One You Know”, il blues heavy, melanconico e oscuro di “Red Giant”, il doom di “Drone”. Ipnotiche, intense, sexy. Il cammino con DuVall prosegue spedito nella misura in cui l’artista, inserito ormai da una decade ma sempre citato come ‘il nuovo’, ritaglia progressivamente i suoi spazi. Evocando lo spirito di Staley DuVall possiede un’estensione vocale più ampia che illumina la perla semiacustica “Maybe” e la successiva “So Far Under”, cancellando senza farsi notare lo ‘yarling’ antipatico a molti e sinonimo di grunge e post-grunge, cominciando ad assumere una propria identità restando complementare a Cantrell. A gettare uno sguardo al futuro arriva “Never Fade”, scritta a braccetto dai cantanti/chitarristi, uno dei pezzi più accessibili e ‘dolci’ mai scritti dal gruppo: un brano dedicato al defunto frontman intriso della speranza dei sopravvissuti, notevole per l’architettura firmata Cantrell/Kinney/Inez e con le qualità del nativo di Atlanta esplicitamente sotto i riflettori. Sulla lista delle differenze, che per i fan dell’era Staley possono facilmente diventare difetti, troviamo la confermata produzione di Nick Raskulinecz, moderna e pulita fino all’asettico e per questo contradditoria e inadatta, per molti alla componente viscerale degli AIC. Un punto oggettivo invece, e forse più grave, è la transizione delle composizioni verso territori sicuri, all’interno della sfera di comfort del gruppo e pericolosamente in direzione di quella dimensione prevedibile ed annacquata tipica del fine carriera delle formazioni affermate. Non siamo comunque arrivati a questo punto: un nuovo album degli Alice In Chains è un evento talmente raro e la statura del gruppo è tanto elevata rispetto ai contemporanei che non possiamo che accogliere “Rainier Fog” con vivo entusiasmo.