8.5
- Band: ALLEGAEON
- Durata: 01:00:20
- Disponibile dal: 25/02/2022
- Etichetta:
- Metal Blade Records
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Vi piace il melodic death metal più moderno e/o il metalcore più thrash/prog? Se avete risposto sì allora è molto probabile apprezziate anche gli Allegaeon: per quanto la musica sia per definizione soggettiva, è oggettivamente indiscutibile come i cinque riescano ad essere velocissimi ma al tempo stesso capaci di rallentare, ipertecnici senza inutili onanismi, melodici ma non per questo ruffiani, cultori della tradizione pur senza rinunciare agli esperimenti, ironici pur facendo tremendamente sul serio con gli strumenti (un po’ come i nostrani Destrage). Forte di una discografia giunta ormai al quarto capolavoro di fila – tutto quanto venuto da “Elements Of The Infinite” in poi, pur senza sottovalutare i primi due pur validi lavori – e del batterista definitivo (o almeno così ci auguriamo, visto che Jeff Saltzman è il quarto in una dozzina d’anni), la formazione del Colorado si rifà al trademark sonoro definito negli anni ’10, introducendo tuttavia alcune succose variazioni sul tema soprattutto a livello vocale. La principale novità è infatti la presenza delle tanto amate/odiate clean vocals, che se in alcuni casi si limitano allo sporadico ruolo di abbellimento (“Bastards of the Earth”, “Into Embers”) in brani come “Of Beasts and Worms” sono invece protagoniste all’altezza del ritornello, proiettando i Nostri ai livelli dei migliori Soilwork. Interessante anche la sperimentazione di “Called Home”, dove un incipit vocale in stile Corey Taylor di “Vermilion” si trasforma poi all’altezza del bridge nei Pain Of Salvation di “Remedy Lane”, così come sorprendono in positivo alcuni passaggi simil-rap in “Blight”, altro pezzo che accanto alle consuete ritmiche spezzacollo affianca anche una pregevole fuga pianistica. A proposito di sperimentazione impossibile non citare “To Carry My Grief Through Torpor and Silence”, con un break strumentale simil-flamenco seguito da un assolo che lascia un giubbotto di pelle d’oca; allo stesso modo meritano davvero anche i due atti di “The Dopamine Void”, dove la jam acustica della prima parte funge da ideale trampolino di lancio per il melodic technical death metal futuristico della seconda, sparata a tutta velocità come uno Shinkansen sui binari dei nostri padiglioni auricolari. Finale sugli scudi con “Saturnine”, altra perla in cui il registro vocale di Riley McShane raggiunge vette inesplorate, prima che la strumentale “In Mourning” lasci il posto alla rabbia catartica di “Only Loss”, altro brano liricamente intenso e che musicalmente ci ricorda di nuovo la versione più incazzata di Speed Strid e soci. Grazie al contributo di tutti i membri in fase di songrwiting (un inedito assoluto nella loro discografia), quello che ad un primo ascolto sembrava un ‘more of the same’ è diventato un ‘more than the same’, rendendo “Damnum” il miglior capitolo targato Allegaeon. Almeno fino al prossimo.