8.0
- Band: ALTARAGE
- Durata: 00:36:41
- Disponibile dal: 13/10/2017
- Etichetta:
- Season Of Mist
- Distributore: Audioglobe
Se nel febbraio 2016, in occasione dell’uscita di “NIHL”, avevamo parlato degli Altarage come di una delle migliori promesse dell’underground europeo, con “Endinghent” possiamo sbilanciarci e dire di avere tra le mani una splendida certezza. ‘Splendida’ in senso lato, ovviamente, visto che non si segnalano ammorbidimenti rispetto a quell’alienante miscela di black e death metal proposta lo scorso anno, ma tant’è. Strappato un contratto alla sempre più affermata Season of Mist, il quartetto di Bilbao riemerge prepotentemente dall’abisso per sommergerci con una colata di “Incessant Magma” (citando l’opener del disco) che non lascia scampo alla mente o al corpo; un maelstrom in cui visioni surreali, geometrie oblique e bagliori epilettici confluiscono in un songwriting di rara intensità e concretezza, ben distante da quella sorta di arroganza compositiva diffusasi a macchia d’olio in certi ambienti. Quando vanti tra le tue influenze gente come Impetuous Ritual e Portal il rischio di perdere la bussola o di cedere all’astrazione fine a se stessa è sempre dietro l’angolo, ma non sembra essere questo il caso della band iberica, ancora una volta attentissima a bilanciare il senso di paranoia e delirio dei maestri australiani con un feeling impattante che guarda alla tradizione del genere. Sotto la coltre di riverberi, ripetizioni e dissonanze, si agitano infatti ritmiche e riff intelligibili che guidano la tracklist a mo’ di spinta interiore, nell’ottica di una compostezza diventata ormai sinonimo di piena maturità. Già dopo un primo ascolto dell’opera, risulta chiaro che gli Altarage non abbiano bisogno di chissà quali ‘effetti speciali’ per trapanarci il cervello o farci invocare pietà: i loro brani si attestano sempre su durate ragionevoli, non si perdono in inutili ghirigori e poggiano sulle spalle di un guitar work che, spogliato della suddetta componente sperimentale, ricorda da vicino la possanza e la chiarezza adoperate da un gruppo come i Dead Congregation, per un mix tanto insolito quanto affascinante. Un suono inarrestabile – reso un filo più fruibile dal mastering di Brad Boatright (Bell Witch, Trap Them, Vallenfyre) – davanti a cui arrendersi e precipitare in un gorgo di tenebre infinite.