8.0
- Band: ALTARS
- Durata: 00:40:28
- Disponibile dal: 08/07/2022
- Etichetta:
- Everlasting Spew Records
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Nove anni. Tanto è trascorso da quel “Paramnesia” visto da più parti come un gioiellino di death metal plumbeo e dissonante, frutto degli sforzi creativi di una formazione cresciuta tanto con il mito degli anni Novanta, e di conseguenza della triade Gorguts-Immolation-Morbid Angel, quanto del processo di sublimazione e dilatazione dei confini musicali operato da visionari come Ulcerate e Deathspell Omega. Un mix che nel corso di questo decennio ha fatto in tempo a passare da novità intrigante a trend inflazionatissimo, con realtà spesso intrappolate in un vortice di soluzioni asfittiche e di gare di contorsionismo fuori controllo, e che gli Altars – dopo aver annunciato dal nulla il loro ritorno nella primavera del 2021 – decidono oggi di nobilitare nuovamente per tracciare un solco distinto tra fenomeni di dubbio gusto e progetti con i piedi ben saldi a terra.
Per farlo, la band australiana si affida ad una line-up parzialmente rinnovata, con il cantante/bassista Brendan Sloan a spalleggiare i membri fondatori Alan Cadman (batteria) e Lewis Fisher (chitarra), e al supporto della nostrana Everlasting Spew, sempre più recettiva nei confronti di tutto ciò che è metal estremo di qualità, riprendendo il discorso interrotto dal succitato esordio ed elevandolo a una dimensione di integrità e autorevolezza ben rappresentata dal titolo e dalla copertina del qui presente “Ascetic Reflection”.
La base della proposta, come detto, non si discosta da quella che avevamo apprezzato nel 2013, ma ciò non significa che in questo lungo periodo di silenzio e ripensamenti il gruppo se ne sia rimasto seduto sugli allori, evitando di affinarsi o di rendere più comunicativo il proprio stile; al contrario, i quaranta minuti del platter evidenziano fin da subito uno sviluppo della componente melodica e di quella prettamente death-black, con puntuali armonizzazioni a fiorire dalla dissonanza e con parentesi assai ‘dritte’ – specie per il filone – a spezzare il ritmo, incrementare il coefficiente di aggressione e fornire punti di riferimento durante l’ascolto. E anche quando i Nostri decidono di sfoggiare delle aperture apocalittiche degne dei cugini neozelandesi, il risultato finale è comunque ben lungi dall’assomigliare a un plagio o ad un omaggio fin troppo urlato. D’altronde, parliamo di una formazione che ha iniziato a muovere i propri passi nel 2005, ben prima del botto underground degli autori di “Everything Is Fire”, e che ci tiene e declinare certe influenze con una dose più che adeguata di gusto e freschezza, evocando atmosfere viscerali e terrificanti con una spontaneità non comune a tutti.
Come dovrebbe sempre essere in un disco death metal, qui sono i riff a sorreggere il peso della tracklist e a decretarne il successo, nel flusso di una scrittura ingegnosa e accattivante che dosa ottimamente pieni e vuoti, parentesi meditative in cui la grana si assottiglia ed esplosioni di pura malvagità, per un risultato finale che episodi come “Luminous Jar”, “Black Light Upon Us”, la titletrack e “Opening the Passage” sintetizzano al meglio. A fronte di un comeback tanto convincente, la speranza è che gli Altars non si complichino la vita da soli, dando continuità ad una carriera che tutti i fan dei nomi citati dovrebbero quantomeno scoprire o riprendere in mano.