8.0
- Band: ALTER BRIDGE
- Durata: 01:02:52
- Disponibile dal: 01/10/2013
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Warner Bros
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No guts no glory, ovvero ‘non c’è gloria senza palle’. Dicono così gli americani, ed il detto si applica alla perfezione agli Alter Bridge, partiti col botto – almeno nel vecchio continente, dove non hanno risentito dell’ingombrante eredità dei Creed – in occasione del debut “One Day Remains”, e capaci di rinnovarsi album dopo album, secondo un processo di indurimento del sound che, avviato da “Blackbird” e proseguito con “AB III”, trova definitiva conferma nel nuovo “Fortress”. Spinti dalla vena metallica di Mark Tremonti, evidentemente non esauritasi nel suo recente progetto solista, i Nostri hanno deciso stavolta di spingere decisamente sull’acceleratore, come testimoniato dall’eccezionale opener “Cry Of Achilles”, la cui intro acustica funge da preludio a sei minuti di riffing heavy e solo elastici della coppia Tremonti / Kennedy, e dal primo singolo “Addicted To Pain”, robusto up-tempo tanto ficcante quanto energico. Come nel precedente “AB III”, la tracklist abbonda di pezzi tirati (“Bleed It Dry”, “Peace Is Broken”, “Farther Than The Sun”), in cui chitarre ribassate si accompagnano alla calda timbrica di Myles, creando quello che è ormai di fatto diventato il marchio di fabbrica dei ‘nuovi’ Alter Bridge; la voce ‘rock ballad’, autentica fucina di hit dalla band di Orlando fin dai tempi dei Creed, si limita invece stavolta ad annoverare la sola “All Ends Well” (peraltro tra le meno riuscite, non fosse per la solita prestazione da urlo del pluri-citato singer), segno di un passato che inizia a stare stretto ai quattro americani. Da leggere in questo senso anche le numerose sperimentazioni – il riffing tooliano di “The Uninvited”, l’intro a là Muse di “Calm The Fire”, il passaggio dietro al microfono di Mark su “Waters Rising” -, culminate nell’epica title-track posta in chiusura, giusto una spanna al di sotto di “Blackbird”, ma in cui il livello di affiatamento chitarristico tra l’anima metallica di Mark e quella melodica di Myles raggiunge livelli finora inesplorati. Inutile dunque sprecare inchiostro, se pur digitale, in titoli divenuti ormai routine per la band di Orlando – ‘L’album più heavy di sempre’, ‘Il disco hard-rock del 2013’ -, mentre ci preme sottolineare la capacità dei Nostri di mantenersi ad altissimi livelli, pur evolvendo il proprio sound di album in album: costruita su fondamenta solide già dagli esordi, la fortezza degli Alter Bridge si conferma sempre più inattaccabile, con buona pace dei (pochi) detrattori e immensa gioia dei (tanti) ammiratori.