7.5
- Band: ALTER BRIDGE
- Durata: 00:54:20
- Disponibile dal: 14/10/2022
- Etichetta:
- Napalm Records
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Arrivati al settimo album gli Alter Bridge ormai non hanno bisogno di grandi presentazioni, essendo ormai divenuti uno dei nomi di spicco della scena alternative / hard rock al punto da potersi permettere di andare in tour con Gojira, Shinedown o Halestorm come gruppi spalla. Nondimeno, dopo quattro lavori imperdibili, se pur per diversi motivi, la sempre maggiore attenzione verso i progetti paralleli aveva fatto presagire un futuro più routinario, tendenza iniziata con “The Last Hero” e leggermente invertita con il successivo “Walk The Sky”. Fortunatamente, questo nuovo “Pawns & Kings”, pur senza raggiungere i fasti del passato, sembra segnare un ulteriore passo nella giusta direzione, ponendosi come ideale continuazione di “AB III” e “Fortress”, oltre che come anello di congiunzione con gli ultimi Tremonti. Ascoltando il riffing di “This Is War”, “Dead Among The Living” o “Silver Tongue”, si fatica a cogliere le differenze con “Marching In Time” (ultimo album del Tremonti solista), ma l’aggressività delle chitarre trova qui un perfetto complemento nella sempre calda ugola di Myles Kennedy, dando vita a quella magia melodica completata dal sempre puntuale lavoro della sezione ritmica formata dagli ex-Creed Brian Marshall e Scott Philips. Dopo un poker di pezzi tirati, il primo rallentamento arriva a metà tracklist: smessi i pani di Frank Sinatra, il guitar hero italo-americano si mette dietro al microfono per la semi-ballad “Stay”, episodio più rilassato che apre la strada ad un lato B più leggero; se il groove fin troppo allegro di “Holiday” appare un po’ fuori contesto, al contrario “Season Of Promise” è un bel tuffo nel sound più spensierato degli esordi. Menzione a parte per la tanto discussa “Fable Of A Silent Son” – che coi suoi otto minuti sembra voler strappare a tutti i costi il record di durata a “Blackbird”, cui però non allaccia manco le scarpe – mentre la conclusiva title-track chiude in bellezza quello che probabilmente è il disco migliore del gruppo da quasi dieci anni a questa parte.
Indubbiamente le sorprese stanno a zero – la costante presenza del quinto uomo Michael ‘Elvis’ Baskette, produttore in cabina di regia dai tempi di “Blackbird”, è un ulteriore conferma in questo senso – ma stavolta la qualità ha avuto la meglio sulla quantità (con ben quattro brani lasciati fuori dal take finale), quindi, tra un disco solista e l’altro, possiamo festeggiare anche un ottimo ritorno per gli Alter Bridge: né pedoni né re sulla scacchiera musicale, ma dritti e precisi come delle torri.