7.0
- Band: ALTERNATIVE 4
- Durata: 00:59:09
- Disponibile dal: 15/11/2011
- Etichetta:
- Avantgarde Music
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Duncan Patterson, un personaggio che non avrebbe bisogno di molte presentazioni: inglese di Liverpool, è principalmente noto per essere stato il bassista – ed in seguito anche il tastierista – degli Anathema, anima oscura ma creativissima della band, messo forse in secondo piano dalla maggiore importanza mediatica che prima Darren J. White e poi i fratelli Cavanagh hanno avuto all’interno della formazione albionica. Ma basti ricordare che, dietro le prime forti sperimentazioni degli Anathema, avvenute negli anni di “Eternity” e “Alternative 4”, il fulcro del songwriting era nelle corde proprio di Patterson, poi esiliatosi e rifugiatosi nei vari Antimatter, Ion ed innumerevoli collaborazioni di ogni genere. A testimonianza dell’eclettismo del personaggio in questione e del suo mai poter stare fermo, eccolo alle prese con una nuova entità, sicuramente la più richiamante le sue opere con gli Anathema, a partire dal monicker scelto: Alternative 4. Aiutato dal vocalist/chitarrista australiano Mark Kelson e dal batterista argentino Mauro Frison, Duncan ha rispolverato parzialmente la sua ispirazione dei secondi Nineties, unendola alla verve sperimentale che lo contraddistingue, riportando in auge quel rock vagamente venato di metal, fortemente contaminato dalla psichedelia, dall’ambient e dal progressive, che appunto ha reso indimenticabile nel tempo un lavoro quale proprio “Alternative 4”. Qui si viaggia su territori molto meno metal-oriented e ancor più avanguardistici, ma pezzi incredibili quali “Still Waters”, “False Light” e “Alternate” richiamano abbastanza alla mente melodie e atmosfere di quell’album. La classe del compositore, del resto, è intatta e solamente nel finale di questo “The Brink” ci si assopisce un po’ all’ascolto: l’ipnosi rarefatta generata dalle conclusive “Autonoma” e “The Brink (reprise)” – quest’ultima lunga ben quindici minuti! – smorza infatti parecchio l’entusiasmo generato dalla prima parte del disco, veramente intensa ed emozionante. Terrificante è “The Dumbing Down”, le cui asperità rumoristiche rammentano lo svolgersi di un plumbeo e spiritato funerale. Ma è la già citata “Still Waters” a valere quasi da sola il prezzo del platter, brano che fa impallidire buona parte del materiale recente degli Anathema, inutile nasconderlo. Un gran disco, dunque: chiaramente non per tutti e per gente open-minded, forse solo incrinato nel giudizio da qualche scelta compositiva troppo poco rock e troppo ambient. Ma siamo di fronte ad un ascolto certamente da provare senza remore, poco ma sicuro.