7.5
- Band: AMAROK
- Durata: 01:04:46
- Disponibile dal: 28/06/2024
- Etichetta:
- Vendetta Records
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“Devi accettare la perdita per superarla”: è con questa frase che gli Amarok presentano il loro secondo album “Resilience”, a sei anni dal primo full-length “Devoured”. Una formazione, quella californiana, da noi incrociata un po’ per caso ai tempi dello split con gli Hell (quelli sludge/doom, non gli esponenti inglesi della NWOBHM) del 2013 e che già allora sembrava poter dire qualcosa di leggermente differente dalla concorrenza di settore. La ritroviamo adesso con una pubblicazione monumentale, tremendamente pesante e luttuosa, solo in parte riconducibile a quanto sapevamo di loro e al messaggio sonoro delle pubblicazioni passate.
I quattro americani discendono da quella corrente di sludge/doom malmostoso, imbevuto di odio e disperazione, che ha appunto in Hell, Mizmor, Thou le sue migliori espressioni: suoni grumosi, depressi, dal formato solitamente extralarge, per garantire un’esperienza di sofferenza spossante, il più tangibile e concreta possibile. Per gli Amarok queste considerazioni valgono ancora, ma con “Resilience” si sono fatti strada anche altri sentimenti, la sensibilità musicale si è aperta ad orizzonti di maggior ampiezza e una componente atmosferica, perfino romantica, ferale in un senso meno acido e tremendo, è andata ad espandersi nei solchi del nuovo disco. I toni malevoli e sprezzanti del passato si sono ora tramutati in una espressione più melodica, ragionata, più descrittiva di un certo malessere e dei propri lutti, che non una bieca aggressione rancorosa.
Le chitarre ragionano allora in riff fieri che sanno quasi più di death metal e funeral doom che di sludge, le dinamiche sono più studiate, vibrano armonie ben distinguibili e per possanza e dinamiche sembra di ritrovare i Bell Witch di qualche tempo addietro, quelli di “Four Phantoms” per intenderci. Una trasformazione che poteva intuirsi in alcuni dettagli della precedente discografia, anche se adesso quei piccoli indizi sono sfociati in prove ineluttabili.
Le melodie paiono fattivamente lacrimare, distrutte dal dolore, mentre vengono scartavetrate da una voce ossessiva nell’esprimere sofferenza, dividendosi tra urla figlie dell’hardcore e un growl colmo di sconfitta. Ci si trascina e si vive di stenti, tra riff lunghi, elaborati e che sfumano in una specie di sospiro, cantilenando mestamente tra pattern di batteria molto ordinati nelle fasi più lente, inesorabili e severi quando si spinge sull’acceleratore, ricordandosi dei propri influssi black metal.
Il senso di tragedia apocalittica emanato da una traccia come “Ascension (XI)” – non è un caso che il disco voglia essere una specie di ricordo degli incendi che hanno devastato la California negli scorsi anni – è qualcosa che sembra andare oltre il vissuto del singolo e abbracciare un sentimento collettivo, tale ne è la sdrucita grandeur. In ragione del minutaggio sterminato, ci si aspetterebbe una scrittura di tipo narrativo, con pochi sprazzi di circolarità, e in effetti va proprio così.
Difficile invece trovare elementi progressivi o costruzioni armoniche e melodiche particolarmente esplorative, si rimane nell’alveo del metal estremo e si condisce la propria proposta con elementi che non hanno alcun taglio avanguardistico, mentre si rileva piacevolmente un desiderio di soavità, almeno a intermittenza, con alcune toccanti dilatazioni a staccare la spina e indurre un barlume di pace.
Fierezza, voglia di riscatto e di risorgere dai lutti ammantano il corpulento discorso sonoro del quartetto, che per “Resilience” sceglie pure una produzione abbastanza nitida, non eccessivamente limacciosa, buon alleato per entrare meglio in sintonia con l’operato del gruppo.
Nonostante il ponderoso e dettagliato affresco sonoro che si è andato a creare, “Resilience” non ha ancora addosso quei caratteri unici e pienamente distinguibili che ne farebbero un capolavoro del settore. Non siamo nemmeno lontanissimi da tale soglia, i ragazzi californiani hanno ulteriormente sviluppato una proposta già intrigante in passato e si sono spinti dove prima non avevano osato andare.
Per chi ama le forme di death/doom e sludge molto dolorose e dall’ampio respiro melodico, un album da tenere in considerazione.