9.0
- Band: AMEBIX
- Durata: 00:38:20
- Disponibile dal: 14/09/1985
- Etichetta:
- Alternative Tentacles
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In quale momento della storia si sono incontrati per la prima volta il punk e il metal? In quale istante ha preso forma l’incipit dell’ormai enorme massa di ibridi punk-metal che compone gran parte del panorama heavy? Difficile dirlo, ma un buon punto di partenza sono gli Amebix. Prima di loro le due sfere apparivano ancora completamente separate e non pare vi fosse traccia di una fusione così netta, voluta e decisa fra esse. Proprio perchè ormai la stragrande maggioranza della musica heavy che ascoltiamo è praticamente fatta tanto di punk quanto di metal, già solo questo rende gli Amebix una band imprescindibile, e il loro contributo alla musica heavy mondiale appare dunque insostituibile. In poche parole gli Amebix sono dei pionieri, ed è dunque impossibile non tirare in ballo quello che è il loro lavoro più emblematico e simbolico di questa enorme rivoluzione di cui sono stati fautori. Per capire “Arise!” e il suo crepuscolare e allucinante sound è necessario capire il luogo e il tempo in cui è nato. Siamo nell’Inghilterra di inizio anni Ottanta, in un’Inghilterra pervasa da rivolte proletarie, scioperi, scontri senza quartiere tra il governo inglese e la classe lavoratrice, e degrado sociale dilagante tra la classe operaia colpita in maniera quasi mortale dalle politiche iper-liberiste dell’allora Primo Ministro, la ‘Lady di Ferro’ Margaret Thatcher. I quartieri della classe lavoratrice sono divisi a metà tra coloro che decidono di non andare in fabbrica o in miniera e di optare per lo sciopero permanente autocondannandosi ad una vita da fuorilegge, e coloro che invece decidono di lavorare nella mobilità più sconcertante per mandare i figli a scuola. In questo humus pazzesco di rabbia, degrado, rassegnazione, inquinamento e disperazione, sono cresciuti i due fratelli Chris ‘Stig’, e Robert ‘The Baron’ Miller, due ragazzi inseparabili non solo grazie ad un legame di sangue indissolubile, ma anche grazie ad un’esistenza giovanile passata nel degrado più totale in cui nessuno poteva fare a meno dell’altro per sopravvivere. Alla fine i due hanno scoperto che solo i punk, gli squat e l’anarchsimo rappresentavano una famiglia e un rifugio sicuro per loro, e che solo la musica anarchica e fuorilegge dei Crass (“Axeman”) e dei Conflict (“Spoils Of Victory”) costituiva una spiegazione plausibile e sensata alla realtà spietata in cui vivevano. Ma i due si sono spinti ancora oltre: hanno sviluppato un’ossessione per l’occulto, per scenari apocalittici, per visioni agghiaccianti della totale sconfitta della razza umana per mano propria. Ha cominciato a serpeggiare così nel primitivissimo sound degli Amebix la presenza strisciante, blasfema e negativa dei Bathory (“The Darkest Hour”), dei Celtic Frost (“Arise!”) e dei Black Sabbath (“Slave”). All’anarchismo e al pessimismo sociale si è unito l’esoterismo, l’occulto, la venerazione, come estrema e inevitabile accettazione, della negatività più totale, di un’apocalisse inevitabile. “No Gods, No Masters” è intitolata non a caso la title-track che chiude il corrosivo predecessore, l’EP “No Sanctuary”, come una sorta di presagio su ciò che “Arise!” sarebbe stato. Una sorta di sputo in faccia al mondo, sia sul piano socio-politico che metafisico, da parte di una band che nei messaggi non ha mai lasciato nulla al caso. La dark wave inglese dei Joy Division (“Drink And Be Merry”) e dei Killing Joke (“Fear Of God”), esplosa proprio in quegli anni, che ha folgorato i fratelli Miller proprio a ridosso della stesura di “Arise!”, ha poi spinto i due ad addentrarsi ancor di più nelle viscere di un odio concettuale e di un ribrezzo sonico inarrestabile. Giù, ancora più giù nei meandri di un sound quasi completamente privo di luce, e provvisto stavolta anche di atmosfere agghiaccianti (la opener “The Moor” fa letteralmente gelare il sangue nelle vene) e di un intimismo crepuscolare e maleodorante (“The Darkest Hour”, di nuovo). Nasce il crust. Punk rock metallico, opprimente, atmosferico, pesantissimo, disperato, scurissimo, lercio, sudicio, completamente corroso, apocalittico… completamente anti-umano. Questo è “Arise!”, un disco che ci ha descritto un futuro raccappricciante e senza il quale non capiremmo nulla del presente. Un album quasi preveggente nella sua natura apocalittica e nel suo ‘sound-spazzatura’ quasi completamente frutto della malattia mentale e di allucinazioni di ogni sorta (“Largactyl”), avanti di anni rispetto al periodo in cui è nato. In poche parole un cimelio inestimabile che, come tutti i veri capolavori, è stato capito e recepito dalle masse solo decenni dopo aver visto la luce la prima volta, e quando gli Amebix erano ormai spariti dalla circolazione da anni. Pura e semplice storia del metal.