7.0
- Band: AMENRA
- Durata: 00:25:44
- Disponibile dal: 28/03/2025
- Etichetta:
- Relapse Records
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Con venticinque anni di carriera gli Amenra non sembrano volersi fermare, continuando un percorso musicale ed artistico che comprende una discografia enorme, senza contare i vari progetti paralleli, parentesi soliste e collaborazioni varie.
Progetto principale del collettivo Church Of Ra, i belgi hanno sempre affermato che la loro è una musica in continua evoluzione fatta da un componente rituale estremamente marcata, che non si ferma alle canzoni ma si esprime anche attraverso le arti figurative, con la componente teatrale dei loro concerti a chiudere in cerchio.
Sulla questione di ‘evoluzione musicale’ c’è però da discutere: di fatto che quella degli Amenra è una proposta musicale che non si è mai scostata troppo da un post-metal che gioca tutto sulla dicotomia piano/forte e una claustrofobia di fondo – sì capace di prendere poche idee e gestirle molto bene attraverso l’uso di dinamiche sempre efficaci e un senso di disperazione e disillusione spirituale pressoché unico.
Da questo punto di vista è assolutamente vero che la loro è una musica pregna di tensione religiosa e rituale, componente che si è fatta sempre più presente fino al recente “De Doorn”, uno dei picchi della loro intera discografia.
Con una mossa curiosa, ma che si dimostra concettualmente sensata, il gruppo di Kortrijk torna con ben due EP separati, la cui funzione non è quella del solito riempitivo, quanto piuttosto un momento di raccoglimento per tirare le somme di quello che è stato finora. Un ponte ideale tra il precedente “De Doorn”, che fu un distacco temporaneo dalla serie di lavori a nome “Mass” e il prossimo “Mass VII” che vedrà il ritorno di tale concept.
Le due canzoni che compongono “De Toorn” – il cui artwork riprende curiosamente quello dell’esordio “Mass I” – sono la chiusura del discorso iniziato col quasi omonimo album e ne riprendono in pieno le caratteristiche principali: le toccanti soluzioni melodiche di voce ritornano in “Helden” un brano triste, che inizia in maniera sommessa come fosse una lenta processione dettata da un pulsare di batteria e basso colorato da arpeggi minimali di chitarra, per poi svelare la sua natura tragica e violenta solo nei tre minuti finali. Un brano bellissimo, che avrebbe meritato di far parte del disco vero e proprio.
Simile, anche se leggermente più ossessiva e viscerale la successiva “De Toor (Talisman)” che non raggiunge i picchi emotivi del brano precedente ma funziona comunque bene come capitolo finale del concept.
È sempre difficile dare un giudizio ad un’uscita di due brani soltanto, per quanto la lunghezza di entrambi rasenti i tredici minuti: la qualità c’è sempre, c’è da chiedersi però se c’era davvero bisogno di due uscite separate.