8.0
- Band: AMON AMARTH
- Durata: 00:47:52
- Disponibile dal: 21/06/2013
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Forse l’uscita del nono full-length degli Amon Amarth non sarà l’evento dell’anno, ma sicuramente “Deceiver Of The Gods” è uno dei dischi più attesi dell’ultimo periodo (ed il quasi mezzo milione di hit su youtube in poco più di un mese, dimostrano l’interesse suscitato dalla clip della title track). Capaci di far convogliare gli amanti di diversi generi, dal death al power, passando per il viking, i cinque musicisti di Stoccolma hanno avuto il compito non semplice di dare un degno successore agli ultimi tre dischi, quelli che li hanno consegnati alla fama di cui godono, vedendo crescere in modo impressionante il numero dei loro fan. Eccoci, quindi, al nuovo lavoro. Dopo Odino, Thor e Surtur, questa volta è il turno di Loke, protagonista, oltre che del titolo del disco, di gran parte delle canzoni. E come Loke, “Deceiver Of The Gods” è un disco dalle molte sfaccettature, dal songwriting meno immediato e più elaborato, rispetto ai precedenti lavori degli Amon Amarth. L’opener, che molti già conosceranno, da il titolo al disco ed è un brano molto classico per i Nostri: un riff iniziale epico ed incalzante, ed il ruggito di Johan Hegg danno il via ad un gran pezzo di melodic death, con un refrain nel tipico stile che è ormai un segno distintivo della band: basta sentire l’inconfondibile growl che ci grida “Asgard’s always been my home”, per capire che stiamo ascoltando gli Amon Amarth. Si prosegue con “As Loke Falls” e le chitarre si scostano dal tipico stile della band, mischiando i loro consueti toni epici ed incalzanti con una melodia molto classica, che rimanda quasi ai Judas Priest o agli Accept; un richiamo al classic metal ancora più forte nella successiva “Father Of The Wolf”, con un inizio dal sapore maideniano. Quindi gli Amon Amarth virano verso un classic metal che possa ammorbidire il loro sound? Assolutamente no. Arricchiscono la loro musica, utilizzano le migliori armi che l’intero panorama metal possa offrirgli, ma sempre con l’unico scopo di produrre il loro consueto ed ottimo melodic death e se alcune “incursioni” possono spiazzare al primo ascolto, sopratutto per la mutevolezza dei pezzi, dobbiamo pur sempre ricordarci che questo disco ci racconta l’imprevedibile Loke, colui che inganna gli altri dei. E’ il turno di “Shape Shifter”, in cui le chitarre di Olavi Mikkonen e Johan Söderberg si intrecciano nel miglior “Amon Amarth style” creando un refrain che invita al sing-along, in un crescendo continuo che sfocia in un finale che colpisce forte come un martello. E’ il turno di “Under Siege” una lunga cavalcata dall’incedere marziale che si pone sulla falsariga di canzoni come “Victorious March” o “Death In Fire”, amalgamando un interludio di basso, seguito da un assolo epico e struggente. “Blood Eagle” è pura furia, forse il momento più pesante e meno melodico dell’intero disco. “We Shall Destroy”, invece, torna a richiamare le melodie classic metal, unendole ad un mid-tempo marziale e ad un refrain che prende da subito, incorniciando una canzone nel più collaudato stile dei viking metallers svedesi. Un palm-mute ritmato ed un growl particolarmente profondo, aprono “Hel”, creando un’atmosfera cupa ed ipnotica, adatta a parlarci di Hel, figlia di Loke e sorella di Fenrir e Jörmungandr, e del regno degli inferi che da lei prende il nome; quando, poi, la voce di Messiah Marcolin si sovrappone a quella di Johan Hegg, ad “interpretare” la dea, con un coro ad alternarsi ai vocalist, un quadro fosco, crudele ed ineluttabile è completo. La fusione delle due voci costruisce un intreccio profondo e malsano, creando una dimensione nuova ed inattesa nel sound degli Amon Amarth. Un pezzo che lascia attoniti e chiede di essere riascoltato più e più volte. La successiva “Coming Of The Tide”, forse, paga un po’ il prezzo di venire dopo un brano tanto intenso quale è “Hel”, ma si fa comunque onore, con passaggi che rasentano quasi il power, pur restando fermamente granitici ed in stile con la band. Tocca a “Warriors Of The North” chiudere il disco; il tipico intreccio melodico iniziale in stile Amon Amarth, si intervalla, ancora una volta, ad un sound più classico: sono sempre i Maiden a spuntare in alcuni passaggi e nei riff (sopratutto quello centrale), ma il tutto è sempre strumentale al piglio decisamente anthemico del brano e quando il growl prorompe, rivendicando fiero “we are the warriors of the north” e l’incedere si fa più incalzante, non si può non sentire la personalità della band che sa accostare melodia e brutalità, creando un sound epico ed evocativo. “Deceiver Of The Gods” è il nuovo disco degli Amon Amarth e suona esattamente come ci si aspetta, aggiunge qualcosa senza snaturare, rimane fedele ad uno stile senza essere autoreferenziale; fin dalle prime note, sappiamo di conoscerlo, come un amico di vecchia data e proprio come un vecchio amico, non manca mai di stupirci. Alcuni potranno obiettare, certo, che questo disco non dice nulla che la band non abbia già detto, ma dai cinque vichinghi svedesi ci aspettiamo questo e nulla di diverso.