7.0
- Band: AMORPHIS
- Durata: 00:49:56
- Disponibile dal: 04/09/2015
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Scrivere qualcosa che non sia ancora stato detto sui finlandesi Amorphis è praticamente impossibile. Sono i numeri che parlano per loro: venticinque anni di onorata carriera, ben dodici album sulle spalle, almeno un paio dei quali divenuti col tempo dei veri e propri classici del nostro genere preferito. E poi ancora: una formazione stabile, con pochi cambi di line-up, uno di questi (l’arrivo di Tomi Joutsen dietro al microfono) che ha coinciso anche con un bel cambio di direzione sonora e artistica, senza che questo, al contrario di ciò che avviene in molti casi, sia andato a snaturare l’essenza del gruppo. Anzi, ciò ha donato loro un nuovo slancio e li ha portati ad una formula compositiva più lineare e meno sperimentale – e qualche fan dei primi Amorphis dirà anche più noiosa e prevedibile – portando i loro brani ad avere una forma canzone molto più tradizionale, popolare, radio friendly, commerciale, usate pure l’espressione che meno vi infastidisce. Di fatto quello che è avvenuto é una vera e propria maturazione: il quintetto di Helsinki è diventato adulto e questo già da qualche tempo. I Nostri hanno trovato la loro casa dopo averla cercata in lungo e in largo tra laghi e foreste, poemi epici e gloriose battaglie, e ora che questa dimensione è stata trovata, se la godono appieno ben consci del motto ‘squadra che vince non si cambia’. “Under The Red Cloud” è il sesto album del nuovo corso degli Amorphis, e da “Eclipse” in poi si può dire che le evoluzioni e i cambiamenti siano stati davvero minimi, parliamo giusto di pochi dettagli. Vero è che di passi falsi non ve ne è mai stata nemmeno l’ombra, il combo finlandese in questa seconda parte di carriera non ha mai tradito le aspettative, ha sempre dato alla luce (con una cadenza di due anni spaccati) gran bei dischi, ispirati, corposi, evocativi e ricchi di pathos. Affermare che “Under The Red Cloud” sia una battuta d’arresto non sarebbe giusto e certamente nemmeno corrisponderebbe a verità. Tuttavia forse oggi per la prima volta abbiamo avuto la sensazione che i Nostri abbiano inserito il classico pilota automatico per scrivere brani che alla fine dei conti inziano a risultare piuttosto prevedibili. Per carità, le loro sonorità folkloristiche, il loro metal melodico e a tinte gotiche, con quei gran bei ritornelli, caldi ed evocativi, gli arpeggi acquosi e dal retrogusto Seventies sono sempre presenti e ben riusciti e se avete amato i cinque predecessori di questo full length, sicuramente avrete ragione di godere anche di questo. Però, insomma, sei album praticamente uguali iniziano ad essere tanti anche per dei fuoriclasse come gli Amorphis. Troviamo qualche episodio un po’ più sperimentale, come “The Four Wise Ones”, cantatata esclusivamente in growl, che però francamente non ha il mordente che avremmo voluto sentire, oppure i rimandi agli anni sessanta di “Enemy At The Gates”, che proprio irresistibili non sono. Alla fine i brani più piacevoli sono probabilmente i più classici e prevedibili come la opening track oppure “Death Of A King” che però, come detto, non spostano di una virgola tutto ciò che è già stato detto e ridetto nel recente passato. Per onor di cronaca diremo che anche questa volta è stato cambiato produttore, non più Peter Tagtgren, quindi il suono è meno metal e più teso a sottolineare la loro componente psichedelica grazie all’apporto di Jens Borgren. Concludendo, non un passo indietro per la band finlandese, ma stavolta non riusciamo a rimanere ancora sorpresi dalla vena compositiva degli Amorphis, d’altra parte dopo venticinque anni sulla cresta dell’onda, ci può benissimo stare. Sempre e comunque una garanzia.