7.5
- Band: THE AXIS OF PERDITION
- Durata: 00:47:30
- Disponibile dal: 13/12/2024
- Etichetta:
- Apocalyptic Witchcraft
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Dopo una lunga pausa durata oltre un decennio (almeno se si guarda ai full-length), gli (An) Axis of Perdition interrompono il silenzio con “Apertures”, un album che sembra emergere da un angolo trascurato dell’underground estremo. Questo lavoro, appunto il primo full-length dai tempi di “Tenements (Of the Anointed Flesh)”, non cerca di replicare il caos abrasivo che ha definito gli esordi del progetto britannico, presentandosi invece come un’opera più stratificata, avvolgente e per certi versi consapevole. Eppure, lo spirito malato e inquietante che animava la prima parte della discografia non è del tutto scomparso: esso ha semplicemente mutato (temporaneamente?) forma, diventando un’incarnazione più meditativa e obliqua.
Se i primi anni Duemila avevano visto la band come pioniera di un industrial black metal alienante e claustrofobico, con opere come “Physical Illucinations in the Sewer of Xuchilbara… (The Red God)” o “Deleted Scenes from the Transition Hospital” che avevano posto le basi di un culto oscuro alla pari dei primi orrendi vagiti degli Anaal Nathrakh, oggi, in un panorama che celebra sempre più l’intersezione tra metal estremo e sperimentazione, la musica del duo sceglie di non assecondare troppo facilmente tendenze avantgarde o progressive, diventando anzi meno sprezzante e più controllata. Concepito pur sempre nel contesto di una discografia che ha sempre sfidato i confini tra musica e narrazione orrorifica, con i pattern industriali che non si limitano a fare da semplice sfondo, ma confermandosi un elemento essenziale che si intreccia con la chitarra per creare un’architettura sonora intricata, l’album rappresenta un passaggio interessante nello sviluppo compositivo del gruppo, unendo a quelle atmosfere disturbanti che hanno reso celebri i loro vecchi lavori un tocco vagamente più armonico e sinuoso. Le ritmiche, meno tortuose e sostenute rispetto al passato, si avvicinano a certe soluzioni più serpeggianti che, volendo restare in Inghilterra, potrebbero ricordare i Void, pur mantenendo il caratteristico senso di oppressione urbana, mentre le esplosioni prettamente black metal si fanno meno roboanti per favorire un fluire inesorabile che lascia spazio alla costruzione di un mood più subdolamente velenoso. Il caos controllato di “Apertures” si rivela insomma meno intenso sul piano fisico, ma riesce comunque a insinuarsi con efficacia nei recessi della mente.
Brani come “I Am Odium” si fanno subito portavoce di questa evoluzione: una traccia che alterna dissonanze industriali a momenti di malinconica melodia, come se dalle rovine sonore emergesse uno spiraglio di luce malata. Similmente, “Metempsychosis” intreccia feedback metallici e ritmiche ricercate, evocando un senso di alienazione senza tempo.
L’intero album è comunque pervaso da un’estetica decadente che richiama il fascino ruvido dell’Inghilterra industriale, lo stesso che aveva reso iconici i loro primi lavori. Le ispirazioni rimangono radicate nell’immaginario di “Silent Hill”, ma il tono questa volta è meno esplicito e più sfumato, come se le ombre del passato fossero state assorbite dalla polvere.
Forse “Apertures” non raggiunge le vette di devastazione emotiva dei capolavori della loro discografia, ma non è questo il punto: il ritorno degli Axis of Perdition è un’esplorazione matura che preferisce costruire una tensione latente anziché aggredire frontalmente. È un album che non cerca di piacere né di stupire con effetti speciali o virtuosismi gratuiti, ma offre un’esperienza sonora che lascia il segno per il suo carattere concreto e al contempo particolare. Un ritorno nel complesso certamente riuscito, capace di confermare la band come una voce fuori dal coro nel panorama del metal estremo britannico e non.