7.5
- Band: ANAAL NATHRAKH
- Durata: 00:41:04
- Disponibile dal: 02/10/2020
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Mick Kenney e Dave Hunt proseguono indefessi nella loro missione di terroristi sonori con un nuovo capitolo della saga distopica degli Anaal Nathrakh. Come sempre, nel caso del duo inglese, la musica e le parole costituiscono un binomio pressoché inscindibile, e che richiede approfondimento e attenzione. Da una parte la commistione di sottogeneri anche distanti tra di loro trova come da copione un perfetto compimento, permettendoci di apprezzare momenti disturbanti alternati con naturalezza ad altri quasi elegiaci – in particolare grazie al marchio di fabbrica costituito dalle improvvise esplosioni della voce pulita sul massacrante tappeto sonoro complessivo. Restano alcuni brani di chiara matrice black (“Libidinous (A Pig with Cocks in Its Eyes)”, “Singularity”), ma appunto si resta sorpresi – o solo piacevolmente colpiti, dopo vari album di analogo spessore e ed eterodossia – dagli innesti che spaziano dal death melodico a basi spiccatamente industrial, con un esito che accresce sempre più il senso melodico e di unitarietà della ricerca sonora dei due brummies.
Sul fronte dei testi, “Endarkenment” costituisce uno zibaldone ricchissimo di sfumature e riferimenti elevati, dotato della consueta visionarietà e necessità di una lettura volutamente lasciata alla sensibilità personale. Abbiamo il racconto di un sopravvissuto di Auschwitz nella travolgente e irresistibile “Feeding The Death Machine”, riflessioni sul ruolo dell’arte in relazione ai totalitarismi (più o meno mascherati, altro tema da sempre presente nella weltanschauung degli Anaal Nathrakh), un brano ispirato alla Messa da Requiem di Verdi (“Requiem”, appunto) e ancora un collage di commenti su un noto caso che univa cronaca e repressione sociale in Malesia, in cui in qualche modo la band incrocia la strada, musicale e tematica, con gli amici Napalm Death (“Punish Them”).
Saltando insomma con maestria tra spasmi cibernetici e robotici e quadratissime sferzate di chitarra (consigliamo “Beyond Words” come assaggio perfetto del disco) questi due decostruttori aprono nuove finestre e ferite sulla contemporaneità; è una narrazione di cui le nostre orecchie godono come tossici in astinenza, ma di cui, soprattutto, abbiamo probabilmente sempre più bisogno rispetto all’alienante assalto del finto mondo globale, in realtà schiavo di oligarchie e dei suoi canali informativi. Un blob fagocitante apparentemente pluralista e per questo tristemente amorfo, che pochi artisti sanno analizzare e mettere alla berlina con una sintesi così efficace.