8.5
- Band: ANAAL NATHRAKH
- Durata: 00:46:02
- Disponibile dal: 02/10/2001
- Etichetta:
- Mordgrimm
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Birmingham è da sempre una sorta di Mecca per la musica metal. La pesante eredità della rivoluzione industriale, i decenni successivi al dopoguerra che la trasformarono in un mostro di brutalismo urbano con le sue infinite tangenziali, i quartieri di cemento e i blocchi industriali, la resero terreno fertile per una (contro)cultura che fece dell’aggressività sonora, ideologica e visiva i suoi cardini fondamentali.
Dal doom di Black Sabbath ed Esoteric all’heavy metal del Judas Priest, passando per l’industrial dei Godflesh fino ad arrivare al parossismo grindcore dei Napalm Death e relativi progetti paralleli, la cittadina inglese ha sempre ispirato generazioni di musicisti trasversali che hanno scritto la storia del genere metal. Forse però mai si sarebbe pensato che, proprio da quella giungla urbana, sarebbe potuto svilupparsi qualcosa che ha nel suo DNA un genere come il black metal, musica che ha sempre fatto del contatto con la natura il suo credo principale.
Nati alla fine degli anni Novanta dalla mente di Mick Kenney e Dave Hunt, gli Anaal Nathrakh rappresentano, insieme ai Cradle Of Filth, il picco artistico della scena black metal inglese. Laddove però il gruppo di Dani Filth nasce da una visione tipicamente vittoriana e gotica del genere, il duo di Birmingham smantella le atmosfere nere, claustrofobiche e nichiliste della scena scandinava per ricostruirle attraverso il mood corrosivo di certo industrial.
“The Codex Necro”, debutto degli Anaal Nathrakh del 2001, ci presenta un sound micidiale, disturbante e senza alcun compromesso, sia dal punto di vista sonoro che concettuale e raccoglie l’eredità di band come i Mysticum e i Dødheimsgard di “International 666”. Non ci troviamo però di fronte alla meccanicità lisergica dei primi, né tanto meno all’estro surrealista dei secondi, bensì a quarantasei minuti di un black metal che molto deve alla prima scuola norvegese, perdendo però ogni remota reminiscenza di umanità.
I blast-beat incessanti della drum-machine rincorrono un magma di chitarre che sembrano uscire da un disco come “De Misteriis Dom Sathanas”, ma il tutto è sovrastato da una coltre di suoni corrosivi, samples vari e un mood generale caotico e destabilizzante. Non ci sono ancora i tratti grindcore di dischi come “Eschaton”, e brani come “The Supreme Necrotic Audnance” o “Submission Is For The Weak” sono macigni di nichilismo nero, che prendono a piene mani la lezione di Mayhem e Gorgoroth, mentre “Pandemonic Hyperblast”, “Paradigm Shift – Annihilation” e “Incipid Flock” trasformano l’epicitá degli Emperor in un collasso di frequenze elettriche e chitarre claustrofobiche.
“Human, All Too Fucking Human” e “When Humanity Is Cancer”, coi suoi alternarsi di mid-tempo, accelerate parossistiche e riff velocissimi ai limiti del thrash, rappresentano tutto quello che un disco come “Destroyer” dei Gorgoroth avrebbe dovuto essere, a metà tra tradizione e influenze moderne.
A partire dal successivo “Domine Non Es Dignus” gli Anaal Nathrakh inizieranno un processo di evoluzione che abbraccerà un numero sempre più ampio generi estremi, avvicinandoli sempre più a una sorta di grindcore dai toni death e venato di industrial e con grande spazio a voci pulite (qua totalmente assenti) e arrangiamenti meno claustrofobici, senza perdere comunque un grammo di aggressività.
“The Codex Necro”, col suo essere allo stesso tempo moderno e ancora fortemente legato ad un black metal viscerale e tradizionalista, rappresenta dunque un unicum nella discografia della band inglese, nonché un tassello importante nella scena estrema inglese.
La possibilità poi che il suo valore assoluto potesse soccombere sotto peso di una discografia così ampia e monolitica ha sempre rappresentato una minaccia incombente, ma si sa che i grandi dischi sanno reggere anche i confronti più difficili.